Leonardo Sciascia ancora in tempi abbastanza recenti, nel 1975, poteva denunciare la scarsa attenzione dedicata all’opera di Alberto Martini, “l’artista più misterioso, più decadente e più surreale dell’Italia post-unitaria”. Credo che anche oggi si potrebbe rivolgere lo stesso rimprovero alla critica d’arte, che non ha mai veramente saputo assimilare la sua personalità nel contesto della tradizione italiana. Operazione questa d’altronde non facile dal momento che Alberto Martini, che pur s’avvale dei grandi modelli classici, appartiene di fatto alla cultura europea: da Dürer, Bosch, Breugel, a Lautrec, Gauguin, Cézanne e i Preraffaelliti. È alla complessità di questa formazione che si deve peraltro l’assoluta originalità della sua opera, originalità che gli ha consentito di elaborare uno spazio autonomo rispetto ai suoi grandi contemporanei: Beardsley, Rops, Moreau, Redon, con cui condivide la maggior parte delle tematiche.