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La medicina tecnologica sembra divisa tra l’esigenza di rispondere a una metastasi dei bisogni di una società che aspira all’illimitato ed il costante superamento dei limiti di spesa. Questo libro si interroga sulle motivazioni interiori, trascurando deliberatamente le cause tecniche, dell’apparente impossibilità di contenere la spesa nella realizzazione del diritto alla salute. All’interazione tra una bulimia salutistica — posta sul piano inclinato di ogni esercizio tecnico — e le logiche espansionistiche del mercato globale corrisponde un’interpretazione unilaterale del mandato della medicina, la vita. L’autore analizza l’evoluzione della coscienza del medico dagli albori della storia fino ai nostri giorni, avvalendosi del linguaggio dei miti e della propria esperienza negli ospedali. Egli definisce come “complesso di Asclepio” il naturale conflitto di onnipotenza del medico di fronte alla morte, espressione di un’ambivalenza della medicina fin dalle sue origini. Ricco di riferimenti filosofici e psicoanalitici, questo testo denuncia una deriva consumistica della sanità legata allo sfruttamento commerciale della rimozione della morte. La morte rimossa riaffiora sotto forma di ansie e di comportamenti irrazionali all’origine di un enorme spreco strutturale del sistema sanitario nel suo complesso. Nel testo si suggerisce come la riflessione individuale di medici e pazienti possa aprire la strada allo smascheramento del demonismo della tecnica, un primo passo verso la scoperta di quale uomo possa riappropriarsene come mezzo, riscoprendo, come fine, se stesso.