pagine 272 | prezzo 20,00€ | cm 14,5x21

Virgole inesauste sono quattro figure di folli tratteggiate nella loro singolare e dirompente forma di vita. E se “virgola” è l’interpunzione che segnala una pausa e allude alla riserva di senso che la sospensione porta sempre con sé, “inesausta” è la tensione che innerva tale sospensione, è la necessità del folle di spingersi sul limite estremo del senso, la sua dolorosa grandezza nell’interrogarsi sul mistero delle origini e della destinazione di ciò che è umano. Ma inesausta è anche la tensione del curante a vivere la relazione con il folle come l’esperienza di un allargamento dell’orizzonte personale e transpersonale, di un accrescimento in termini di conoscenza e visione delle proprie e altrui possibilità. Le storie che approdano su queste pagine non sono resoconti di casi clinici. Ognuna è il tentativo di far parlare, nel linguaggio che gli è proprio, quel sapere originale che il folle rivendica con la sua semplice esistenza e il senso urgente, irrinunciabile, ancorché tragico, di cui è diretto testimone.

Non solo. In ognuna tale senso si sprigiona da una relazione di cura dedita a captare e amplificare le sue tonalità più sottili e a seguirne le movenze su quella scena ordinariamente speciale che è la vita. Attraverso una narrazione che si snoda tra le emergenze del pàthos e le distese ordinate del lògos, l’autrice ricerca il senso dell’esistenza folle e della speculare crucialità della cura seguendo le tracce del pensiero dialettico di Italo Valent. Ogni drammaturgia, con le sue immagini plastiche, i suoi dialoghi, i suoi aneddoti, riflette il thauma della cura dinanzi alla forza esplorativa e trasgressiva della follia: uno stupore vicino a quel senso di vertigine e di trepidazione, che accompagna l’incontro con qualcosa che ha la forza di mutare il nostro destino.


 
pagine 88 | prezzo 14,00€ | cm 14,5x21

Quello che si nasconde nelle pieghe de: Il rovescio di Maria, pur ricollegandoci all’immagine e al nome della Madre per eccellenza (Maria), si rivela essere l’insaziabile sete dell’umano – in questo caso dello sguardo di un volto materno non ancora incontrato – che si nasconde, si svela e si compie nel “rovescio” delle cose e della Vita. La figura che la scrittura poetica disegna e attraversa è quella delle madri incapaci d’essere madre, incapaci d’essere seno nutriente, corpo accogliente e sguardo amorevole; latitanze che consegnano i figli in un’attesa continua e in una ricerca furente di qualcuno, di un gesto, di una parola che possano farli nascere al mondo. È lo sguardo dell’altro che ci permette di dire “io esisto, io sono degno d’essere amato”. Se questo non avviene, la condanna di un materno inesistente corroderà la vita d’ogni figlio, consegnandolo a continui errori d’interpretazione, sino a portarlo a vedere nel volto del carnefice il volto di “quell’amore” mai avuto, sempre desiderato e sempre tradito. L’Io narrante percorre molti labirinti che – come specchi – riflettono un’infinità di volti, volti sconosciuti, volti amici, volti traditori, volti di carnefici e di salvatori, volti che l’autrice di volta in volta invoca, maledice e benedice, trova e perde, in un cammino appassionato e salvifico verso quello che si rivelerà il volto cercato e inaspettato.

L’esergo iniziale del libro è di Walt Whitman, l’unica voce maschile che dà inizio al viaggio attraverso i 16 labirinti che compongono il libro.