Con La ballata del vecchio marinaio di Samuel T. Coleridge, capolavoro del Romanticismo, il viaggio per mare (e la bonaccia, l’angoscia, l’attesa dei venti favorevoli) diviene la ricerca estrema del senso, l’avventura capace di restituire pienezza alla vita dell’uomo. Attraverso l’immaginazione, suprema facoltà intellettiva e visionaria, la tradizione anglosassone della letteratura di mare acquista il significato di un’impresa metafisica. I rischi di questa impresa, il naufragio, la perdita nel nulla dell’oceano, sono messi in luce nel Sartor Resartus di Thomas Carlyle, scozzese, romantico “forte” e legato a una visione sacra del destino. Ma è in Moby-Dick di Herman Melville, poema e romanzo, trattato sapienziale e libro sacro, che il mare si configura come il luogo estremo della ricerca metafisica. Questa grande lezione trova la sua ideale continuazione, in pieno Novecento, in Italia, dove se ne appropriano dapprima Beppe Fenoglio, che trasforma metaforicamente la Langa in un oceano, teatro di una guerra partigiana che è avventura verso la rigenerazione del senso, e poi Roberto Mussapi, che nella sua poesia scende alle scaturigini della persona, dove l’immaginazione gioca un ruolo cruciale come tensione e apertura alla novità e alla meraviglia dell’Altro.

Ettore Canepa (1950), saggista, giornalista e scrittore, ha pubblicato fra l’altro l’Introduzione alla Ballata del Vecchio Marinaio (Feltrinelli, 1994) e Il fiume sacro – Dieci anni nella poesia di Roberto Mussapi, 1990-2000 (Le Lettere, 2010). Sulla rivista Otto/Novecento ha pubblicato Rimandi danteschi nella poesia di Roberto Mussapi (2016) e La caduta di Eva nel Paradise Lost di John Milton rivissuta nella Digitale purpurea di Giovanni Pascoli (2019). È autore del romanzo Nella foresta di stelle (Algra, 2022).
Uscito nel 1991 (Jaca Book), Per l’alto mare aperto appare ora in una nuova edizione riveduta e ampliata.


 
pagine 240 | prezzo 20€ | cm 14,5,x21

I quattro amici della Compagnia del Mitra sono incontentabili. Ognuno reclama uno spazio tutto per sé. Lumir Medana ha provveduto con la sua Lettera a Mirul, Marcelo Malavista con lo scritto Ombre, buio (e Bob Dylan), e Eduardo Descondo con il racconto filosofico di Abitare la soglia. Carlos Albasuelo, a suo tempo, aveva raccolto nel volumetto di Incerti versi una manciata delle sue pseudo-poesie di gioventù. Ma siccome la competizione tra i quattro serpeggia sempre sotto traccia, ha deciso di mettere mano a una nuova e più corposa edizione: un’edizione cioè “riveduta e ampliata”. In pratica l’intero corpus della sua giovanile produzione poetica. Ha così raddoppiato da cinquanta a centouno le poesie e ne ha ripristinato la forma originale in versi anziché in prosa (per quanto, come versi, altrettanto “incerti” se non incertissimi). Che questa sia stata una buona idea o no, saranno naturalmente i lettori a deciderlo.