Gli scritti raccolti nel libro propongono tre spunti interpretativi per la comprensione e l’impiego clinico, nella psicoterapia contemporanea, del concetto di Sé proposto da C.G. Jung. I primi due testi attingono da tradizioni religiose distanti – la concezione cristiana del Dio trinitario e il Non-Sé del Buddismo – per offrire immagini suggestive e attuali della totalità psichica. Il terzo rimanda alla fenomenologia e all’immaginario onirico per sondare l’ipotesi del come dimora interiore.

L’intento comune è indagare lo scenario ormai molto frequente delle esperienze di dissociazione e frammentazione psichica, prodotto di appartenenze e identificazioni insieme coinvolgenti e complesse, che segnalano una costituzione progressivamente meno coesa e sempre più plurale del Sé. In vista peraltro della tensione a rintracciare nuovamente, attraverso percorsi e modi di conoscenza individuale, il senso di originalità e la dimensione unitaria che connotano l’esperienza soggettiva umana. Un ruolo chiave, sotto questo profilo, assumono la dimensione temporale – intreccio fra memorie e progettualità tesa al futuro – e quella spaziale, intesa come rispecchiarsi e simbolizzarsi del Sè nel luogo delle origini e nell’habitat quotidianamente vissuto.

La cifra “plurale” del discorso sul Sé, infine, assume più apertamente rilievo nella relazione analitica, dove è in gioco non solo la soggettività “plurale” del paziente ma anche quella del terapeuta.

Alla luce delle molteplici metafore che gli autori rintracciano, è poi inevitabile porsi la domanda: a quale tipo di “oggettività” può tendere l’interpretazione analitica?


 
pagine 80 | prezzo 11,00€ | cm 14,5x21

Tutto, in questa nuova raccolta di Massimiliano Mandorlo, sembra fondato sul principio dell’omologia tra organismi diversi, tra il mondo dell’animato e dell’inanimato: miriadi di grattacieli «bucano / il costato aperto» di New York, che appare al poeta come «crocifissa / nel nero bitume»; la stazione Centrale di Milano è come il «ventre oscuro» di un’immensa balena; «arterie grandiose» pulsano «nella dura scorza minerale». Ma il poeta non si ferma qui: le sue immagini sono figure, portano in sé la fede di un fuoco rigeneratore che brucia, di una luce prodigiosa che redime: sul «ventre d’acciaio» delle viscere della metropolitana si abbatte, all’improvviso, «il presente / con la sua forza azzurra / di fiume imprevedibile»; uno stesso abbraccio «dà forza» all’acqua, «muove» la pietra; i migranti colano a picco «piantando le braccia / la croce / nei bianchi abissi del mare». In questo libro tutto impregnato dei simboli della resurrezione, anche le rocce «sepolte in montagne di buio e gravità» sono destinate a riemergere in «pareti di luce». Con una lingua che ha in sé gli accenti visionari della tradizione mistica e scritturale, il poeta vede «la pietra liberata, / la terra esplodere / dalle sue crepe ferite / come un canto». Tra stasi e divenire, buio e luce (parola-chiave, insieme a «pietra», del libro, con la quale condivide il maggior numero di occorrenze), la città dell’uomo di agostiniana memoria pare sprofondare «nell’eterna / battaglia del presente», riemergendone solo nella comunione con i morti-dormienti, e nel nome di Colui che da sempre conosce «gli altipiani ventosi» del cuore. Perché anche il cuore è pietra, e come la pietra conosce «la doppia ricchezza / di gloria / di gloria / ed erosione». Nel segno di una poesia di forme essenziali e di apocalittica tensione, Massimiliano Mandorlo sa rielaborare nella sua lingua scheggiata e sofferente la grande lezione dell’ultimo Luzi: nel «viaggio / terrestre» evocato esplicitamente verso la conclusione del libro, è già compendiata una metafora di vita, e una idea di poesia come forza rigeneratrice e trasformatrice del cuore umano.

G.P.