pagine 80 | prezzo 11,00€ | cm 14,5x21

Tutto, in questa nuova raccolta di Massimiliano Mandorlo, sembra fondato sul principio dell’omologia tra organismi diversi, tra il mondo dell’animato e dell’inanimato: miriadi di grattacieli «bucano / il costato aperto» di New York, che appare al poeta come «crocifissa / nel nero bitume»; la stazione Centrale di Milano è come il «ventre oscuro» di un’immensa balena; «arterie grandiose» pulsano «nella dura scorza minerale». Ma il poeta non si ferma qui: le sue immagini sono figure, portano in sé la fede di un fuoco rigeneratore che brucia, di una luce prodigiosa che redime: sul «ventre d’acciaio» delle viscere della metropolitana si abbatte, all’improvviso, «il presente / con la sua forza azzurra / di fiume imprevedibile»; uno stesso abbraccio «dà forza» all’acqua, «muove» la pietra; i migranti colano a picco «piantando le braccia / la croce / nei bianchi abissi del mare». In questo libro tutto impregnato dei simboli della resurrezione, anche le rocce «sepolte in montagne di buio e gravità» sono destinate a riemergere in «pareti di luce». Con una lingua che ha in sé gli accenti visionari della tradizione mistica e scritturale, il poeta vede «la pietra liberata, / la terra esplodere / dalle sue crepe ferite / come un canto». Tra stasi e divenire, buio e luce (parola-chiave, insieme a «pietra», del libro, con la quale condivide il maggior numero di occorrenze), la città dell’uomo di agostiniana memoria pare sprofondare «nell’eterna / battaglia del presente», riemergendone solo nella comunione con i morti-dormienti, e nel nome di Colui che da sempre conosce «gli altipiani ventosi» del cuore. Perché anche il cuore è pietra, e come la pietra conosce «la doppia ricchezza / di gloria / di gloria / ed erosione». Nel segno di una poesia di forme essenziali e di apocalittica tensione, Massimiliano Mandorlo sa rielaborare nella sua lingua scheggiata e sofferente la grande lezione dell’ultimo Luzi: nel «viaggio / terrestre» evocato esplicitamente verso la conclusione del libro, è già compendiata una metafora di vita, e una idea di poesia come forza rigeneratrice e trasformatrice del cuore umano.

G.P.


 
pagine 160 | prezzo 15,00€ | cm 14,5x21

Mitografa e saggista, Gabriella Cinti cerca di calarsi nello sguardo degli antichi, scavando nelle parole, mettendo a confronto echi e assonanze, sforzandosi di rivivere, nella profondità della coscienza, ciò che filosofi come Nietzsche e Heidegger o studiosi come come Kerényi e Walter Friedrich Otto hanno portato alla luce nei loro scavi archeologici per entro un immaginario quasi del tutto sprofondato nelle lontananze più remote.

Il titolo del primo Inno (perché alla tradizione innodica si riallaccia), Madre del respiro, che dà il titolo anche all’intera raccolta, riproduce per campate anaforiche quella forma di invocazione che veniva elevata collettivamente nel tempio in modo da restare perennemente nella memoria collettiva. “Madre del respiro … Madre del sorriso … Madre delle stelle … Madre degli occhi … Madre del senso … madre dell’azzurro … Madre della scintilla prima … madre dell’essenza”.

Sono parole che l’io poetante può pronunciare a buon diritto nella consapevolezza della propria irrevocabile modernità. Si tratta di una voce che, riallacciandosi, io credo, alla tradizione ermetica, scandisce nelle sillabe allitteranti e/o dissonanti, unicamente – diceva Montale – «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», portando la melodia del verso a una tensione tale da deformarla nell’insensatezza del grido.

 

dall’introduzione di Alberto Folin