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Il 18 aprile 1948 si celebrano le prime elezioni politiche della Repubblica italiana. Sessant’anni dopo, il 14 aprile 2008, altre elezioni liquidano forse definitivamente la cultura dell’antifascismo e spalancano scenari nuovi che qualcuno comincia a chiamare post-repubblica o post-democrazia. La sensazione che una fase storica si sia chiusa motiva l’azzardo della storicizzazione di una civiltà poetica che nasce dagli incubi sottesi ad alcune scritture europee di inizio Novecento e che si articola su tutto il territorio nazionale, attraverso quattro o cinque generazioni in parte ancora attive. Fare storia della letteratura contemporanea vuoi dire allora soprattutto “raccontare” ciò di cui si è a conoscenza, con un atteggiamento né assertivo né classificatorio, bensì curioso sia dei percorsi autoriali più consolidati nella tradizione critica, sia di quelli più insoliti. Le quattro larghe ‘inquadrature’ (la metafisica, lo sperimentalismo, la neodialettalità e il realismo) entro cui sono proposte le singole figure – da Luzi a Sanguinea, da Loi a Viviani, da D’Elia a Rondoni – prevedono primi piani e panoramiche che dipendono solo dalla posizione ideale assunta dal critico testimone, non dalla presunzione di proporre gerarchie o proporzioni fra gli accadimenti storici e letterari di un tempo di crisi che non ammette “canoni”, ma sollecita la promozione di un senso critico diffuso.