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«Se chiudo gli occhi vedo talvolta un paesaggio oscuro con pietre, rocce e montagne sull’orlo dell’infinito. Nello sfondo, sulla sponda di un mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d’avanguardia, sull’estremo limite del nulla: sull’orlo di quell’abisso combatto la mia battaglia».
È con questa epigrafe di Ernst Jünger che questo insolito libro inizia. Ma forse, più che insolito, sarebbe meglio definirlo strano, un aggettivo che maggiormente definisce questo lavoro che si pone in senso heideggeriano sulla linea. È un saggio, ma utilizza spesso uno stile narrativo che confina con il romanzo onirico. Scritto con un intento psicologico, attraversa le lande della filosofia, appare a tratti dissacratore ma è profondamente spirituale; pratica un nichilismo postnietzscheano ma coltiva la speranza, la cura e la compassione.
I due autori, psichiatri e psicoterapeuti, riconoscono la necessità di accettare lo scacco proveniente dal dolore del mondo unito alla doverosa consapevolezza che lo stare, l’affrontare l’infinito con la sua angoscia, è l’unica possibilità autentica.
Da sempre collaboratori nell’attività psicoterapeutica, di formazioni diverse ma di comune identità spirituale, i due autori propongono attraverso un viaggio nel sogno, nell’ipnosi e nello psicodramma il loro modo di vivere la linea, offrendo un’ipotesi che riprende il pensare filosofico mitteleuropeo all’interno del fare anima contemporaneo.