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Il libro riprende il tema trattato ne II codice dell’anima di James Hillman, che intendeva reintrodurre nella psicologia la nozione antica del daimon, personificazione del destino che sovraintende al corso della vita dell’individuo, nozione trascurata, ma ancora valida, per proporne un approfondimento.
Un riferimento privilegiato viene fatto a Schopenhauer, che a quel tema aveva dedicato un suggestivo saggio.
Il discorso è strutturato secondo una scansione paradigmatica di fasi di comprensione del significato attribuibile alla propria situazione esistenziale, che dovrebbe condurre a partire dalla primitiva accettazione ingenua, passando attraverso un momento di rottura, alla riconciliazione con la realtà.
La proposta dell’autore ha come presupposto la perdita di senso, quale malattia dell’anima, che affligge l’uomo nel presente stato della civiltà occidentale.
Nella attuale voga del philosophical counseling forse ci si può attendere qualche salutare stimolo di riflessione anche da un filosofo. E proprio da un filosofo come Schopenhauer, interpretato da un punto di vista diverso da quello comunemente adottato.