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A Delfi, quando Apollo si rivolge a colui che visita il suo tempio intimandogli: «Conosci te stesso!», ciò significa: considera che sei un uomo e non dimenticare i limiti imposti al ge- nere umano. Ed è proprio a questi limiti – e alle loro figure e alle loro traduzioni – che Lucio Saviani dedica Voci di confine.
Le figure del limite (la soglia, il labirinto, lo specchio, lo sguardo, la trasparenza, l’altro, la definizione…) e le sue traduzioni (l’intervallo, l’intermittenza, la sospensione, la crisi, la frat- tura, il confine…) si richiamano vicendevol- mente in questo libro attraverso le “voci” di una scrittura di confine che si muove tra di- versi stili e generi, incrocia più discipline, si espone a gradi diversi di lettura.
Pensare, scrivere, vivere al limite significa confrontarsi col senso dell’impossibile, rap- presentare ciò che non può essere rappresen- tato: l’essere uomo dell’uomo.
Pensare, scrivere, vivere al limite. Siamo qui: proprio dove finisce l’apporto della co- scienza. Siamo nell’inabitualità. Qui, le frasi che lo straniero pronuncia rivolgendosi a noi non sono pronunciate per noi.
Dev’esserne profondamente consapevole Sa- viani se nell’incipit che pone alla fine dell’opera scrive: «Pronunciata, la frase non pronuncia che i suoi limiti, e in questo limite del suo dire non può essere detta. Io mi sono già tradito».
(dal saggio di Flavio Ermini)