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Vannetta Cavallotti, nell’arco della sua carriera artistica, può vantare interventi storico-critici di grande spessore che hanno vagliato la sua creatività da molti punti di vista: il suo singolare surrealismo inteso come unione di sogno/sentimento e realtà, la particolare visionarietà delle opere, il cote più intimamente psicoanalitico, il suo uso del calco come punto ultimo di una prassi scultorea di antichissima origine… Interventi che certamente sono da considerare il risultato di precisi e appassionati confronti personali tra l’artista e il critico, ma non vi è ancora mai stato un intervento personale dell’artista che possa essere considerato alla stregua di una “dichiarazione di poetica”, un testo che abbia valore di fonte e dal quale le future e personali interpretazioni possano prendere le mosse. Ormai il critico ha la tendenza a sovrapporsi in toto all’artista, ed è tendenza recente, sostanzialmente degli ultimi decenni, che annulla una tradizione sopravvissuta sino a tutta la prima metà del Novecento. Ancora oggi, quando ci si occupa di un artista non più vivente, si vanno a ricercare le sue dichiarazioni, le interviste rilasciate, e quando le si rintraccia è come se gli si ridesse la parola, coscienti che quei pensieri saranno indispensabili strumenti per la valutazione della sua opera. L’idea di questo testo è far parlare Vannetta Cavallotti, sollecitarla con alcune domande, farle dichiarare i suoi punti di partenza, indurla a ragionare sui suoi meccanismi creativi e sul suo percorso, ricco e affascinante e non privo di singolarità.
A. Panzetta