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Questo libro parla della sofferenza dei bambini maltrattati e della loro cura attraverso la Sandplay Therapy, il Gioco della Sabbia. Le sue pagine sono attraversate da un filo rosso, da un tono “passionale” e partecipato che affiora nonostante l’impostazione scientifica.
E non può essere altrimenti, perché, come dice l’autore, il libro è «ispirato da tutti i bambini che hanno utilizzato questo strumento terapeutico per cercare una via di liberazione dalla loro sofferenza, bambini portatori di un dolore spesso incomprensibile, sempre inaccettabile, originato da vicende violente di cui non erano responsabili e nelle quali non avevano avuto la possibilità di difendersi o di essere difesi».
E una passione che si rivela nello sguardo fermo e neutrale dell’analista, uno sguardo paziente e attento ai minuscoli segni di speranza che la cura alimenta attraverso l’effetto catartico del gioco. La descrizione delle ferite invisibili dei bambini procede dettagliata, eppure mai fredda o distaccata, delineando i diversi livelli di questa sofferenza: quella che deriva dagli atteggiamenti degli adulti più vicini al bambino, e quella che proviene dalla società intera; quella visibile, e quella espressa solo attraverso sintomi fisici.
Ma il fascino del volume sta nell’osservazione dell’emergere della capacità di guarigione della psiche dentro la sabbiera, nel gioco che porta il bambino da una dimensione individuale di sofferenza a una dimensione transpersonale creativa e autoterapeutica. E questo lo spazio per esistere, la speranza simile alla determinazione di un germoglio che in primavera sa dove è la luce e cresce verso di essa.