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Che cos’è un clown? E il re dell’ambivalenza, fluidamente oscillante fra le molteplici facce della realtà; è la figura che meglio rappresenta quanto di incomprensibile nasconde la nostra “normalità”. Come osserva Augusto Romano, il clown è «la tessera che manca per ricomporre il senso che indicibilmente è racchiuso nel simbolo, per restituire al mondo storico l’opportunità di vivere nell’unico modo possibile – un misto di esitazione, sofferenza ed entusiasmo – la compresenza degli opposti». Per Giovanni Moretti il clown è la via per comprendere la parte più oscura dell’uomo, quella che sconfina nella follia: la sua ambivalenza si legge nei volti segnati dalle psicosi così come nelle parole e nei silenzi del dialogo terapeutico.
Ma il vero clown è proprio lui: il terapeuta, il quale deve muoversi in atmosfere confuse, fra i vissuti abnormi del paziente e la realtà che non può ignorare, tra la propria “follia” e la propria “normalità”, tra i ruoli che l’istituzione gli attribuisce e il bisogno di sfuggirli. In quest’ottica, sottolinea Eugenio Borgna, «la psichiatria, anche la psichiatria che si confronta con le psicosi, non può non essere scienza di confine: scienza aperta a rimettere in discussione i limiti delle sue proprie fondazioni naturalistiche e a riconoscere i confini, e gli orizzonti, delle sue fondazioni antropologiche e interpersonali».