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Fino a Bleuler la psichiatria aveva considerato il tempo nella sua dimensione di Cronos, ma con la fenomenologia, il tempo diviene progressivamente i tempi dell’esperienza soggettiva. Assumendo il vertice interno del soggetto, diviene flusso dell’esperienza ovvero dimensione in cui si inscrivono i cambiamenti e la tensione vitale. Potrà quindi essere vissuto, arrestato, sospeso, dilatato, negato, svuotato, recuperato. Da parte sua la psicoanalisi, sin dalle origini, sostanzialmente si distanzia in modo netto da questa visione del tempo: l’esistenza del soggetto è nelle identificazioni con i propri oggetti e, quindi, nella difficoltà soggettiva a potersene separare, «…può darsi che l’oggetto non sia morto davvero, ma sia andato perduto come oggetto d’amore» (S. Freud, 1905). Si potrebbe affermare che, sostanzialmente, per la psicoanalisi la vita psichica del soggetto si organizza e si dispiega contro ogni regola temporale. Anche per Jung il tempo nel transfert assume solo la dimensione “sincronica ” in cui gli eventi, prima che accadere, coincidono (C.G. Jung, 1950). È solo l’intersezione di due menti che iscrive il tempo – che tenderebbe a rimanere simile a se stesso all’infinito – in una dimensione di realizzazione.
La domanda drammatica sulla durata effettiva del tempo, che sottende ogni azione, ogni relazione, ogni contenuto di pensiero, è stata a lungo difensivamente rimossa. Gli interventi proposti in questo libro intendono riportare la domanda alla sua centralità per l’esperienza del soggetto nella sua relazione con sé e con la Storia.