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C’è un mondo poetico abitato da esseri comuni. Sono esseri comuni, sono post. Post-studenti, ex-lavoratori, viandanti. Uomini e donne trasfigurati dalla poesia vivono insieme in un luogo austero… Forse una casa, forse una ex-fabbrica… una futura scuola, o lo scantinato d’un teatro. Forse un vecchio monastero. A cavallo del tempo, c’è una fastidiosa nebbia, c’è molta umidità.
Sono esseri umani dai nomi mondiali: Olin, Attè, Inna, Antòn, Katrìn, Usov. Puoi vederli solo ogni tanto, per un attimo, inquadrati a strisce dietro lo spiraglio. Questi esseri parlano una lingua stretta, una lingua ridotta all’osso. Sono in conflitto tra sé e sé e sono in conflitto tra loro. Si vergognano d’una parola in più. Si muovono in una specie di bagliore cementato in grigio. La loro voce arriva grave. Aspettano. Ma cosa?
Questo luogo si chiama Tà. Tà come taglio. Come una lancetta che si sposta. Tà, come tavolo, talamo, tasca. Tà come fine d’eternità… realtà, libertà… crudeltà, volontà… verità, vanità, carità, carità, carità!… Voci spente gettate sul nostro sonno… Eppure, nel bel mezzo del sogno, il corpo si sveglierà, sarà nuovo.