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A tre anni di distanza dal bel libro d’esordio (Il calvario della rosa), pubblicato in questa stessa collana, Sillabario della Luce ci restituisce, nella continuità delle immagini, dei temi e della struttura (novanta poesie divise in tre sezioni), la densità luminosa e metaforica della poesia di Elena Petrassi. Pensato secondo una linea di ascesa verticale, che conduce dal buio di una stanza notturna (illuminata da candele) alle spighe della prima luce (Dell’aurora), dal fiammeggiare del meriggio (Verso l’ora meridiana) all’opera del fuoco e del vento, dei cicli e delle rose (Lo spirito del tempo), questo libro pare voler dire al lettore che ogni sensazione, ogni visione naturalistica, ogni aspetto della vita quotidiana è sempre una porta verso una percezione più alta, che è compito della poesia – se non spalancare – almeno dischiudere. E proprio di pensieri sulla poesia s’innerva la terza e conclusiva sezione di questo libro severo e concentrato, dopo le sequenze amorose che marcano in gran parte le prime due: componimenti che toccano, per virtù di immagini e di fulminanti annotazioni, la natura della parola; la sua forma percettiva; il suo volgersi (quasi una sorta di preghiera) al silenzio; il destino – spesso doloroso, spesso votato all’incompiutezza e all’oblio – di chi scrive. E basterebbero anche solo questi pochi versi, a dirci dell’intensità con cui Elena Petrassi ha affrontato una materia così densa e impervia: «In cucina, la notte dei morti / lasciano castagne cotte perché / i morti sappiano di non essere / stati dimenticati. / Questo il destino dei poeti: mangiare / castagne una volta l’anno / giacere insepolti, raccolti nei / propri versi, dimenticati tra / le ore piegate del giorno».
Giancarlo Pontiggia