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Con un titolo di classica memoria (le Selve di Stazio e del Poliziano), che non manca di alludere alla sua ultima raccolta poetica (Bosco del tempo), Pontiggia da vita a un volume di saggi organico e fortemente strutturato, comprendente – quasi al modo di un libro di poesia – un prologo, tre sezioni centrali e un epilogo.
Dopo il prologo, che annuncia i temi fondamentali dell’intero libro, la prima sezione introduce il lettore nel magma della modernità, attraverso lo studio di quattro opere novecentesche di intensa elaborazione espressiva e di alto spessore meditativo: opere in cui gli autori si sono interrogati con forza sul destino della modernità. La seconda sezione ci immerge nell’analisi di nove componimenti poetici otto-novecenteschi, con un’ambizione dichiaratamente pedagogica: scommettere su una lettura approfondita di un solo, breve testo, ad uso di un pubblico non specialistico: il lettore viene introdotto in questi componimenti come in una casa, di cui gli vengono illustrate le varie stanze. La terza sezione, intitolata Paradigmi, è invece dedicata ai prediletti, da Pontiggia, greci e latini: pagine che vogliono cogliere sinteticamente l’essenza di un libro o di un autore, la sua energia linguistica, la sua pensosità morale, la sua forza d’invenzione. L’epilogo, infine, è concepito come una sorta di passeggiata, in cui il lettore trascorre dai versi accesi e immaginosi di Marlowe ai prosimetri meditativi di Basho, da un libro-conversazione di Luzi alle pagine saggistiche di Citati.
Pur evitando lo scoglio di una lettura attualizzante, Pontiggia cerca di cogliere, ogni volta, il senso profondo di queste opere, la loro memorabile potenza impressiva, la loro presenza nel nostro immaginario di lettori moderni e inquieti. L’idea su cui poggia l’intero libro è infatti l’irradiante persistenza di alcuni grandi archetipi letterari, il rispecchiarsi reciproco degli autori antichi e moderni, il ritorno circolare dei motivi poetici e civili che caratterizzano la nostra cultura letteraria fin dalle origini. Il tutto, in uno stile che si fa ora appassionato e metaforico, ora limpido ed essenziale, perché, com’è convinzione dell’autore, sono le opere stesse a determinare volta per volta le prospettive ermeneutiche di una lettura, il tempo e il ritmo di un ascolto, le forme insomma del discorso critico.