Enzo Giarmoleo
Sconfitte non del tutto autobiografiche
Sconfitte non del tutto autobiografiche, raccolta postuma (e unica) di Enzo Giarmoleo, è un libro schietto, “diverso”, forte e struggente: è l’espressione viva e bruciante di uno tra i pochi poeti italiani contemporanei assimilabili all’intrepida famiglia ideale di Kerouac, Ginsberg e Ferlinghetti o a quella dei maestri zen (da Han Shan a Ryokan a Santoka) cultori della provocazione caustica e sottile, dell’ironia pungente e del paradosso. Nella voce di Giarmoleo lo stupore estatico davanti alla bellezza della natura si coniuga con l’indignazione di fronte alle violenze inarrestabili della guerra e alle falsità della politica, col disgusto per tutte le espressioni d’ipocrisia (comprese quelle presenti nell’opera di molti poeti-divi), con un fastidio radicale per ogni forma di retorica e per ogni manifestazione di rigidità, di durezza ideologica, di sclerosi del pensiero. Un bisogno inesausto di esplorare la terra degli uomini, di osservarla nei suoi doni e nelle sue atroci contraddizioni muove di continuo l’anima, il corpo e il linguaggio di questo poeta viandante che ha speso buona parte della vita al fianco dei più reietti, dagli homeless di Milano ai contadini dell’India, dai combattenti zapatisti agli emarginati della banlieue parigina. Grazie soprattutto all’incontro con l’opera di Gary Snyder, Giarmoleo ha riscoperto lo spirito della wilderness, quella parte “selvatica” – irriducibile al cosiddetto buonsenso come ai diktat del Potere – che vibra dentro ciascuno di noi in attesa del nostro coraggio, della nostra umanità e della nostra passione. Solo osando avventurarci tra i sentieri selvaggi, corrosivi e delicati di una poesia nuda e totale, solo sfuggendo a quegli ingranaggi della Volontà di Potenza che continuano a soffocare la storia, potremo tornare a riconoscere quanta bellezza si annidi perfino nelle cose e nelle creature più piccole e inermi: le “liane di seta” che si aggrappano ai muretti, i germogli che bucano gli asfalti, i fili d’erba che illuminano i momenti “lontano dall’intrigo melmoso” della follia.