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Se “ritornare” – come sentenzia l’incipit di una di queste poesie – è solo “un doppio addio”, allora la presente raccolta di Lisabetta Serra, che ai “ritorni” è dedicata, parrebbe porsi ineluttabilmente sotto il segno del distacco definitivo e della perdita. E’ impossibile ritrovare le cose come le avevamo lasciate: e ogni segno ci dice che nulla -né la casa in cui eravamo stati felici né il nostro corpo né il nostro cuore – ci verrà incontro con le stesse sembianze di prima. Possiamo stringerci soltanto a noi stessi – in un abbraccio vuoto.
Pure, Lisabetta Serra non si lascia inchiodare a quest’impasse, e non rinuncia, malgrado tutto, all’abbandono: sa che, ogni anno, Eros riconduce a noi la primavera (ecco un altro, diverso, “ritorno”) – e la primavera spinge i nostri occhi ad affacciarsi nuovamente sul mondo. La vita, forse, è ancora possibile; dobbiamo soltanto attendere, e intanto farci leggeri: per essere portati via dal vento ad abbracciare, con gratitudine e stupore, ogni cosa.
Così, sulle ali di una sorprendente leggerezza e trasparenza – non lontana, benché la pronuncia risulti talvolta drasticamente scorciata, dall’afflato creaturale di un Wordsworth, di un Pascoli o di un Bertolucci – , la Serra affida alla pagina bianca le occasioni e i trasalimenti di una vita: perché non ignora che soltanto da ciò che bagniamo (o lasciamo bagnare) nella luce cristallina e insondabile della poesia, potremo aspettarci – comunque – il ritorno.
Stefano Lecchini