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Questa è la prima opera tradotta in Italia di Thomas Brasch, uno scrittore dell’est legato ai movimenti letterari più spregiudicati e anticonformisti, che ha colto numerose affermazioni e importanti riconoscimenti come il premio Kleist, ancora da noi immeritatamente poco noto nonostante la capillare esplorazione che in questi anni si è andata facendo della letteratura tedesca orientale. Per le implicazioni di questo romanzo, che ha visto la luce nel 1977 a Berlino est suscitando viva sensazione, il suo autore è stato costretto ad abbandonare la DDR.
Prima dei padri muoiono i figli descrive l’atmosfera poliziesca e straziata di una città in cui brilla, trasparente, l’allegoria della morte. In essa, attraverso un’alternanza di mito e quotidiano, partecipazione e distacco, tragedia e parodia, personaggi — che acquistano subito una concretezza quasi dolorosa — si raccontano: cercano un momento di certezza, il luogo o l’emozione a cui aggrapparsi, nell’unica verità del proprio vissuto e della propria «rabbia vuota».
Con la tecnica ellittica della sceneggiatura cinematografica, — tutta affidata al parlato e al gesto — Brasch mette a fuoco l’amara sostanza di esseri sopravvissuti tra le rovine della storia, condannati a brancolare fra gli echi di un passato sempre più crudo e l’aridità del presente, senza padri e senza speranze, che recitano in aspre vicende dove l’intensità e la trasgressione fanno velo a una disperata ricerca di senso destinata comunque al fallimento e all’impotenza.
Il Blues, una corsa pazza nel buio in motocicletta, le libere pulsioni del corpo o un’amicizia diventano qualcosa di determinante, una necessità irresistibile dentro la quale proiettare urgenze improvvise, ritrovare forme di vita vera e di umana solidarietà, forme scovate come istintivamente e contrapposte alle «presunte grandi cose». (p. c.)