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Quale altro libro poteva essere più consono ad aprire una collana nel segno di Hermes – il dio degli incanti e degli stratagemmi, delle menzogne e delle magie – se non questo Ritratto dello scrittore da mago che si annuncia fin dall’inizio, con la sua alternanza di figure, di criptici segni, di auree parole, come una misteriosa scatola di giochi, un mazzo di carte truccate, una lanterna magica, un caleidoscopio di immagini colorate e mutevoli che ingannando gli occhi confortano lo spirito? Già da tempo, con gli studi dedicati alla poesia di Attilio Bertolucci, alla narrativa di Silvio D’Arzo, alla saggistica letteraria di Pietro Citati (per limitarsi ai più noti), Paolo Lagazzi ci aveva abituati a una scrittura in cui la profondità dell’indagine si conciliava con la leggerezza e la grazia di uno stile aereo, metamorfico, scintillante: ma qui, in queste pagine volutamente frammentarie, dedicate ad alcune delle figure più stralunate del nostro Novecento (come Bruno Barilli o Zavattini) o alla narrativa gialla (da Agatha Christie a Chesterton), Lagazzi rivela (ma senza troppo svelare) il carattere cangiante, illusionistico, mozartiano della sua idea di lettura e di scrittura: il critico letterario non può limitarsi, come da troppo tempo accade, «a leggere fra le righe, a togliere maschere, a smontare effetti», ma deve sapersi abbandonare a quell’immaginoso gioco delle forme e della vita, in cui consiste, da Omero ad oggi, il mondo fiammante e rapinoso della letteratura, sia che esso voglia semplicemente incantarci con le sue storie, sia che voglia farci meditare sul destino dell’uomo e sulla natura dell’universo. Ma questi «frammenti di un discorso magico», a legger bene, sono anche una pudica, appena accennata, ma non meno profonda «educazione sentimentale»: la storia di un figlio che inventa un suo modo di leggere per onorare la figura, candida e struggente, del padre che raccontava ai suoi bimbi «storielle fatte di nulla», iniziandoli ai prodigi illusionistici della parola.
Giancarlo Pontiggia