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Le Narrazioni del fervore – avverte Jean-Luc Nancy sin dalla premessa – vogliono aprire un senso ancora sigillato e comunicarci una passione, un’emozione, il moto da cui viene afferrato un pensiero; vogliono farci conoscere lo slancio delle cose, ossia delle “presenze”, verso di noi e di noi verso di loro.
Sottolinea l’autore: sono le parole a portare quello slancio, mostrandoci che, a dispetto di tutti gli ostacoli e di ciò che continua a sottrarci il mondo, qualcosa viene ancora.
Le figure coinvolte in questa narrazione sono il desiderio, il sapere, il fuoco. E hanno i nomi di Afrodite, Maria Maddalena, Romeo e Giulietta, Faust…
Nancy è un indagatore minuzioso dell’essere, che per lui ha la medesima compattezza sia nelle zone profonde, sia in quelle superficiali. Le sue domande obbediscono al bisogno di non separare gli eventi dalla presa sensoriale. La sua scrittura è collegata alla chiarezza del ciclo e al buio della terra. La sua esplorazione mira a fare spazio a un nuovo pensiero e chiama in causa la pluralità dei sensi di cui il fervore è composto.
Si può pensare alle mani di un bambino pronto ad afferrare, agli occhi di Argo volti sull’Aperto, a una spinta pulsionale. Le mani del bambino chiedono di afferrare, i mille occhi di Argo chiedono di conoscere, la pulsione chiede di possedere le forme del suo desiderio.
Nella pagina di Nancy vi è qualcosa di spezzato, dove l'”esperienza filosofica” è in stretta connessione con l’ombra. Tanto da farsi portatrice di un messaggio allarmante. Confermando quanto annuncia Blanchot: «Scrivere è quanto di più innocente vi sia, ovvero di più pericoloso».