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 Vittorio Benussi (1878-192/) attraversò la vita con incauta rapidità; stabilì, all’interno della sua riflessione, un ponte tra scienza e psicoanalisi; di fronte a una sfida così radicale rispose con qualcosa di più dell’adesione a un metodo, qualcosa di imponderabile che ha tutta l’aria di un destino; infine, la mattina del 24 novembre 1927, a quarantanove anni, si uccise con una tazza di té al cianuro. Questo saggio intende ricostruire il suo progetto di psicoanalisi sperimentale. Per Benussi il linguaggio dell’inconscio non rinvia mai a un ambito sperimentale o psicoanalitico, ma sempre a un loro rapporto possibile. Dal contatto di queste prospettive emerge uno dei tentativi più estremi di conoscenza della mente: l’«analisi psichica reale». Qui Benussi è al cuore dell’idea di misurazione della psiche e il suo stile si allinea alle ricerche di psicopatologia sperimentale condotte al Burghölzli di Zurigo da E. Bleuler e C.G. Jung, assegnando la pratica di laboratorio alle aree interdette allo sperimentatore. Ma non basta il lessico freudiano a spiegare l’inconscio. Benussi convoca nuovi strumenti al centro della sua riflessione: l’«inconscio fisiologico», l’«analisi metrica del respiro», il «sonno base», l’«autonomia funzionale emotiva». Se il discorso benussiano si pone al limite tra sperimentazione e psicologia del profondo è in questo limite che esprime i suoi vertici teorici e la sua tragica conclusione.