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Perché un’inconscia autocondanna a morte per fame? Perché questa sentenza riguarda quasi esclusivamente le donne? Esiste un denominatore comune all’origine dell’anoressia? Quali le differenze fra un’anoressia isterica e un’anoressia tipica? E infine: è possibile neutralizzare questo comportamento autodistruttivo attraverso la psicoanalisi? Senza recidive? E quali sono l’utilità e il senso del ricovero ospedaliero e dell’intervento psichiatrico?
Nella prima parte del testo l’autrice si propone di esaminare questi interrogativi dal punto di vista storico, teorico e clinico, presentando quindi il suo metodo di intervento e di cura, fondato sulla ricerca di particolari cause inconsce, collettive e personali, del sintomo anoressico.
Nella seconda parte è riassunto il lavoro psicoanalitico con quattro pazienti e il lavoro rimasto incompiuto in un quinto incontro, attraverso le diverse storie di ognuna, i dialoghi con l’analista e l’interpretazione dei sogni, alla ricerca della ferita ancora aperta che si nasconde dietro un autolesionismo così radicale.