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Il libro offre il quadro della vita culturale a Bergamo verso la fine del dominio veneto attraverso il filtro del personaggio per molti aspetti più rappresentativo e quasi simbolico: la contessa Paolina Secco Suardo Grismondi, nota col nome arcadico di Lesbia Cidonia. La vita cittadina celebra allora i miti e i riti della cultura più sensibile ai modelli francesi: i salotti, le mode, i cavalier serventi, gli epistolari galanti, le poesie d’occasione, le accademie letterarie, il lancio delle mongolfiere. Gli orizzonti di questa cultura, anche sotto l’influenza della contessa, si ampliano alla Francia, a Verona, Milano, Mantova, Pavia e Venezia, con moderate aperture alle istanze dell’illuminismo e dello spirito scientifico aspramente contrastate dalla parte conservatrice.
L’autore ha cercato di adeguare anche la narrazione a questo clima culturale, unendo il preciso riferimento alle fonti con una discorsività leggera e venata di ironia.
Ne esce il ritratto della contessa: brillante nelle varie espressioni della moda, approfondito nei modelli sociali e culturali dell’epistolario, attento al ruolo da lei esercitato per favorire un indirizzo moderno nell’insegnamento, inedito nella parabola dal successo negli ambienti eleganti fino al sofferto ripiegamento interiore degli ultimi anni. Emerge contemporaneamente un profilo storico meno consueto della città di Bergamo, che già nel Settecento era giudicata “ricca d’industrie più, che d’elegante ingegno”.