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L’analogia fra pratica analitica e lavoro artistico è forse la parte più intensa, certo la più originale, di questo libro, che nel suo procedere non sistematico si propone come una riflessione utile al superamento della situazione di perplessità in cui dalla fine degli anni Settanta sono sospese tutte le scuole psicoanalitiche. Convinto del valore trasformativo dell’immaginazione, e dell’invito al “fare anima” di Hillman, l’autore ripensa qui la relazione analitica che, nell’osservazione quotidiana, filtrata dalla propria esperienza terapeutica, gli appare come la costruzione di un racconto “a più voci”, capace di disoccultare le fantasie inconsce e di integrarle in una coscienza che percepisce, conosce e agisce immaginativamente. La cura è il racconto stesso: per un’antica capacità della narrazione, la quale sfugge alla contrapposizione “vero-falso” ma risponde con la propria coerenza interna alla richiesta di formatività e di evidenza, gettando un ponte tra il passato e il futuro dell’analizzando.