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La supervisione non viene “dopo” un’analisi, ma è parte costitutiva e integrante della psicoanalisi. Si svolge durante e nel pieno di un’esperienza analitica: indispensabile modo di formare l’altro, rappresenta un fare-analisi-insieme, dona uno stile alle tante cure che analista e supervisore conducono. Essa porta ogni analisi fino a quel “secondo aspetto” chiamato da Freud di post-educazione che apre un campo di conoscenze, finora riservate a una cosiddetta fase didattica, per oltrepassarla nell’assumere la responsabilità della psicoanalisi come scienza dei vincoli e delle libertà. Un triangolo al lavoro convoca la comunità degli psicoanalisti e degli operatori curanti in generale a un banchetto dove non si tratta più di comunicare ma di comunicarsi.
Consumato in che senso? Di logorato o di esperto? Il supervisore è la figura enigmatica di sconosciuto che compare nei sogni degli analizzanti, vicino o dietro quella ben definita del proprio analista, portatrice di un sapere, preciso, scientifico ma anche fornito di un’aura di sapienzialità.
Un pensiero e una vita da analista compendiati nella formulazione dell’autore “briciole di filosofia sul sentiero di una metapsicoanalisi” un paradosso per chi ritiene la funzione-analista uno specialismo ma che non ha nulla di paradossale se si coglie la duplice direzione insita nella pratica della cura analitica definita da Freud col titolo doppio Trattamento psichico (Trattamento dell’anima).