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Le narrazioni mitiche in occidente sono ormai sommerse, obsolete, trascurate, eppure nel nostro procedere di terapeuti della psiche e di analisti del profondo noi continuiamo a imbatterci nel mito attraverso sogni e amplificazioni, immaginazioni attive e risonanze dei simboli. Anche nella malattia e nelle crisi che sbriciolano le protesi e incrinano il cuore spesso è un mitema a indicare la via da seguire, la diagnosi e la prognosi: il mito è una narrazione altra, che non conforta ma comprende, e nel suo ampio spettro accoglie cecità e rivelazione, delitto e innocenza, incesto ed erranza, ineluttabilità e presenza.
Asse portante quindi dell’Essere, e dell’Essere costitutivo, il mito non è un’opzione, tanto meno per chi affronta il problema della cura. Questo quaderno raccoglie intense riflessioni sul tema, motivate e ravvivate dall’incontro con la parola di Apam Dolo, guida dogon che vive immerso nella tradizione orale della falesia che taglia il Subsahara. Nella sua terra il mito non è reperto, detrito e frammento, sfondo o reminiscenza, ma è presente, palpabile e percepibile: anzi, inevitabile. Il mito permea il linguaggio, il sociale, l’amore tra i sessi, la generatività e il rispetto per la saggezza anziana, le regole dell’ospitalità e i passi della danza. Ogni oggetto, ogni pietra, ogni albero, ogni essere animato – dall’animale all’uomo agli spiriti – è un crocevia, un passaggio continuo di essenze e presenze, una testimonianza viva delle trame e dei flussi invisibili che ci attraversano.
L’incontro con una dimensione così straordinariamente differente dalla nostra ha permesso di rivisitare in profondità i presupposti del nostro saper-fare terapeutico, e di ritrovare le figurazioni tipiche e mitiche del nostro mondo e della nostra storia.