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In un mondo privato della certezza nella Fine, intesa come momento risolutivo per una possibile salvezza, ha acquisito importanza sempre maggiore la medietà come carattere costitutivo dell’esistenza, ovvero lo “stare nel mezzo” (corrispondente ad un irrimediabile distare), eternamente in vista delle cose ultime, e tuttavia nell’impossibilità di raggiungerle. Abbiamo così scoperto che la nostra unica dimora consiste nella lontananza, nello spazio intermedio – che divide l’alfa dall’omega – all’interno del quale il viaggio si compie, il nostro andare e venire, come suggerito con finta leggerezza persine dal ritornello di una vecchia canzone popolare. «Avanti e ‘ndré, avanti e ‘ndré, / che bel divertimento. / Avanti e ‘ndré, avanti e ‘ndré, / la vita è tutta qua…». E ogni parola che riguardi questo dimorare deve piegarsi ad essere, senza più alcun infingimento, un discorso sull’attesa, sulla sincronizzazione imperfetta e sul ritardo, non in quanto frutto della mera contingenza, bensì come dimensione irreparabile, e al tempo stesso sfiorata dalla grazia, dell’accadere di tutte le cose.