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Soltanto da Silvio Ramat, uno dei poeti più limpidi e ispirati dell’ultimo mezzo secolo, tra i pochi cui dovremmo guardare come si guarda a un maestro di moralità e di stile, e al quale, per giunta, dobbiamo alcune delle pagine critiche fondamentali sulla poesia italiana del Novecento, poteva venire un libro come La buona fede.
Memoria e letteratura, un libro in cui si fondono la prospettiva critica, l’autobiografia intellettuale, l’autoritratto, le memorie familiari, le passioni segrete, il ricordo affettuoso dei maggiori poeti del secolo scorso. Con la discrezione e il pudore che gli riconosciamo, Ramat intesse un libro che non ha precedenti, non solo per la vastità dei temi che vanno a costituire un vero e proprio affresco, umano e culturale, del nostro tempo, ma anche per la sorprendente naturalezza con cui l’autore sa passare dalla prosa al verso, dalla severità del giudizio critico alla commozione, dalla pietas privata a quella pubblica. E tutto con la misura, il nitore, la precisione che da sempre contraddistinguono le sue pagine, poetiche e saggistiche, e che Ramat sa anche applicare alla propria opera, con suggerimenti e definizioni che resteranno da oggi non eludibili per chi voglia affrontare la lettura – e lo studio – della sua opera poetica. Ma è lo strenuo, ferito, bruciante sentimento del tempo a legare ogni pagina, ogni verso: quanti addii, quante partenze, quanta umanità scorre in questo libro di intelligenza e di affetti, appassionante e prospettico, ironico e struggente, che si volge a noi con la stessa limpidezza, ed esemplarità, con cui, in Mia madre un secolo, lo splendido «racconto in versi» pubblicato all’inizio del nuovo millennio, fluivano – attraverso le vicende familiari – le vicende di un secolo intero, miracolosamente saldate in un’unica lastra. E non sarà un caso se i due libri si concludono con la stessa citazione dantesca: «quasi che dalla sua vita/ secolare sparisse il troppo, il vano», leggevamo nel poemetto dedicato alla madre; mentre qui l’augurio è che la poesia (non solo quella «breve») ci protegga dalla dispersione «nel troppo e nel vano».
G. P.