- Collane
- Amore e Psiche
- Il Tridente Saggi
- Il Tridente Campus
- Narrazioni della conoscenza
- Pensiero e pratiche di trasformazione
- I volti di Hermes
- Il castello di Atlante
- Echi dal labirinto
- Scrivere le vite
- Fabula
- Ritratti d'artista
- Le forme dell'immaginario
- Architettura e trasformazione del costruito
- Quaderni di ergonomia
- Biblioteca del Cefalopodo
- IMM'
- Altre proposte
- Altro
- In Vetrina
- Prossimamente
- Indici Analitici
- Riviste
- Ufficio stampa
E’ pressoché inevitabile, quando si ragiona sul pensiero fantastico, lo scontro con una concezione di fondo che lo svaluta, perché teorizza lo sviluppo umano come qualcosa che procede dall’inconscio alla coscienza, dal pensiero fantastico a quello razionale. E’ sufficiente ricordare il freudiano <là dov’era l’Es sarà l’io>.
Certamente il mondo di fantasie ingenue e lussureggianti che ci viene presentato dalle mitologie ha più affinità con la creatività artistica che non con la registrazione fedele del mondo reale; lo stesso vale per il mondo psichico dei primitivi, dei bambini e dei folli. Per questo motivo, nell’interrogarsi su quale sia il significato ultimo del fantasticare, gli autori hanno voluto in primis esplorare il tema della creatività.
Sappiamo bene che solo quando accedono ad una consapevole individuale elaborazione le immagini che appaiono nel nostro mondo interiore acquisiscono uno statuto particolare e prezioso: diventano appunto creatività. E il punto focale della creatività consiste, come ci suggerisce Jung, nell’accettare il passaggio da una utilizzazione estetica delle immagini, che in estrema sintesi è un modo più o meno inconscio per negare le potenzialità conflittuali che esse recano, a un atteggiamento etico, che vede nelle fantasie la raffigurazione di contenuti che non sono più o non sono ancora riconosciuti dall’Io. La creatività, figlia del pensiero fantastico, è in sostanza un espediente sintetico che collega in forme sempre nuove ciò che l’avvento della coscienza scinde e polarizza, allo scopo di estrarne e valorizzarne il significato intrinseco.
Si tratta di un opus che urta contro le più forti resistenze: prendere coscienza è un’operazione sempre estremamente dolorosa. La sua realizzazione rappresenta il lavoro di una vita intera, perché non si conclude mai. Ars requirit totum hominem.
Utilizzando una prospettiva junghiana, gli autori riconoscono nella fantasia una opposizione al mero adattamento, o meglio una compensazione rispetto all’unilateralità del pensiero razionale, e individuano nella ricerca del senso la meta inconscia e fondamentale del pensare per immagini.