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Non c’è alcuna freccia di direzione né alcuna mappa di orientamento sulla soglia della sua caverna mistica: in modo abrupto Sara Virgillito ci risucchia all’interno del suo poema alchemico comunicandoci immediatamente il suo ritmo. Il poema che ha come tema il fuoco, il principio vitale e metamorfico, infatti è concepito come azione pitica e organizzato di conseguenza nel flusso metrico di un continuo esaltato e affocato trasalimento.
Tra delirio e illuminazione, tra tormento e gioia, ctonia e celeste la testimonianza della irriducibile forza che squassa e sublima la materia e lo spirito è evocata e invocata come nei riti dionisiaci e orfici. Lode, inno e canto di propiziazione sono alterni e frammisti nella combustione di quella fiamma.
E voce umana quella sotto la cui specie la fiamma lingueggia: ‘ Certo, ma già arresa a una intrinseca fatalità, immersa nell’indistinzione degli elementi agita la sua sferza e ritorna sui primi moti sotto varie forme, varia e uguale a se stessa; non c’è progressione ma solo reiterazione, perché non c’è tempo, c’è solo soffio d’energia primeva, primaria.
Non è facile a dirsi l’animo con cui Sara Virgillito officia questo rito, investita dalla sua forza esplicita e occulta. In ogni caso, meno di tutto mi pare ci sia astrazione o fuga. Ci vedo piuttosto agonismo, appassionata riluttanza alla perdita di ‘fuoco’ e alla disintegrazione dell’uomo contemporaneo. Forse qui è la ‘ragione’ del poema, se non vogliamo limitarci a subirne la fascinazione. Ed è allora una ragione tragica.
Mario Luzi