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Il Louvre. Attraverso una prosa narrativa articolata in brevi annotazioni e minuti spostamenti psicologici, Yves Bonnefoy ci fa cogliere l’essenza di uno spazio che via via andrà configurandosi sotto i nostri occhi come un luogo dell’anima.
In questo lavoro, Bonnefoy ci parla di alcune opere esposte nel museo del Louvre e dei loro autori – tra i quali, Delacroix, Poussin, Georges de la Tour, Vermeer -, affidandosi all’emozione poetica e alla sorpresa del sogno. Lungo un cammino che non ha percorso né traccia – mediante cenni minimi, leggerissime note, appena percettibili, ma determinanti per la meditazione e la memoria – la riflessione si precisa in un’esperienza interpretativa che nulla concede alle categorie conosciute. In queste annotazioni – nate, come indica lo stesso Bonnefoy, «sotto il segno dell’incompiuto, dell’abbozzo, dell’impossibile» – nulla fa pensare al superfluo e all’esornativo. Tale purezza ha il dono di farci vedere le opere in tutta la luminosità del loro senso, in tutta la loro bellezza, che balza su con la forza di una verità. Nel Louvre siamo in quella terra di nessuno che ha alle spalle una visione unitaria del reale e davanti una pluralità impensata di frammenti. Con Bonnefoy ci caliamo in un’atmosfera di ripetuta scoperta, nel flusso di un racconto che si dirama quasi da solo. Guardare equivale ad accelerare il corso delle riflessioni, ritrovare qualcosa che la polvere dei giorni non ha offeso, ma soltanto velato.
Il «grande spazio» rappresenta un mondo che noi abbiamo perduto e insieme lo sbocco verso un mondo diverso. Contiene dati appartenenti al labirinto dell’immaginazione e ai canoni di una libertà che mai potrebbe accettare leggi troppo vincolanti.