- Collane
- Amore e Psiche
- Il Tridente Saggi
- Il Tridente Campus
- Narrazioni della conoscenza
- Pensiero e pratiche di trasformazione
- I volti di Hermes
- Il castello di Atlante
- Echi dal labirinto
- Scrivere le vite
- Fabula
- Ritratti d'artista
- Le forme dell'immaginario
- Architettura e trasformazione del costruito
- Quaderni di ergonomia
- Biblioteca del Cefalopodo
- IMM'
- Altre proposte
- Altro
- In Vetrina
- Prossimamente
- Indici Analitici
- Riviste
- Ufficio stampa
Come sembrano suggerirci i bellissimi versi su cui questa nuova raccolta si chiude, tutta la poesia di Bruna Dell’Agnese – fin dal memorabile esordio, tenuto a battesimo da Attilio Bertolucci, di Stanza occidentale (1985) – poggia le proprie fondamenta sull’acqua. Non potrebbe esservi base più fragile: più vulnerabile e aperta a tutti i venti e alle tempeste del mondo. Bruna Dell’Agnese sa che l’acqua non ha confini. Corre, percorre, trascorre; travolge e viene travolta: perdendo per strada, uno ad uno, tutti i labili appigli che pensava di aver afferrato per sempre – case, cose, volti, affetti, amori, paradisi; o anche quel sole «inutile», da cui avrebbe voluto trarre calore fino alla fine dei tempi. Nulla è destinato a durare: l’estate declina in autunno, l’autunno in inverno: il giorno sfuma nella sera, la sera precipita in notte. Istante dopo istante, il mondo ci appare sempre più straniero: perché siamo stranieri anzitutto a noi stessi, e in nessun modo potremo mai sfiorare il corpo, o l’anima, di chi ci sta di fronte e in qualche modo ci sfida.
Ma la scommessa, paradossale e pienamente vinta, di queste poesie e di questi poemetti sta nel dimostrare come l’acqua, su cui sono scritti i nostri nomi e le nostre parole, abbia in sé una forza, un’energia, una potenza, che nessun ostacolo riuscirà ad arginare. Come avevano perfettamente compreso i saggi taoisti, l’acqua ci getta verso tutte le cose: lava e rinnova continuamente il nostro rapporto col mondo: nel proprio dilagare oltre ogni confine, rivela in realtà una misura indefettibile (la stessa, cronometrica, che scandisce la pronuncia trepida e asciutta dei versi); l’acqua sostanzia la nostra “effimera vita” – così, sulla superficie di quel che era il proprio specchio vuoto, possono tornare a disegnarsi le linee e i colori di un giardino, pronto «ad affacciarsi di là / dove hanno radici sole e luna».
Stefano Lecchini