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In questo tempo segnato dalla paura e dalla solitudine, il testo accompagna il lettore a “dire” il dolore: ammissione e quasi ridefinizione del dolore stesso, cui ogni epoca sempre è costretta. Gli si offre come esperienza personale, che in qualche modo misterioso e imprevisto, come accade sempre con la poesia, si allarga a rappresentare l’essere in quel suo punto fondo e segreto, nel quale l’uomo, come un bambino, si ritrova solo e indifeso.
Una lingua densa e insieme incerta, “esposta” e come accumulata a soppesare qualcosa che non si capisce, che non si conosce; che costringe a sgranare il cuore, quasi a dire: io.
Parola sospesa che ha conosciuto la paura, o l’orrore, che ugualmente si offre testimone del pur impaurito eroismo dell’uomo.
Infine, essa stessa inchinata ad adorare il volto che emerge, inatteso, dal dolore. A “dire” l’amore.