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Nel settembre del 1939 si inaugurava il Cinema-Teatro Massimo, opera dell’architetto Alessandro Rimini. Da anni in disuso e vittima dell’incuria, quella sala, nata per la luce del cinematografo, è ora diventata casa per la musica, la sede dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi. Questa metafora ha di fatto ispirato e accompagnato la ristrutturazione dell’edificio, progettata dall’architetto Giancarlo Marzorati e a cui hanno collaborato progettisti ed esperti fra i più affermati nei loro campi. La casa e il suono, l’architettura e la musica: è questa l’alchimia fascinosa dell’Auditorium. Da un lato la pesante concretezza del cemento, del marmo e del legno; dall’altro la leggerezza “spirituale” del suono.
«Mi sembra di dirigere stando dentro la pancia di un violoncello»: questa espressione, usata dal Maestro Riccardo Chailly, è rimasta a suggello di un progetto in cui l’acustica, firmata da Enrico Moretti, ha raggiunto livelli di eccellenza. In effetti, il mondo fisico creato dentro la sala dell’Auditorium di Milano è un universo isolato e a sé stante, protetto dal rumore della città, una serra che genera armonie. Il passaggio dal fuori al dentro può divenire una sorta di ingresso in un corpo sensoriale avvolgente. Questa esperienza è il “senso globale” che scaturisce dalla coralità della cooperazione progettuale: dal disegno degli spazi, dalla loro morfologia e adattabilità a diverse forme di spettacolo, dall’installazione dei diversi impianti tecnologici.
Il libro racconta l’esperienza di questa trasformazione — voluta da Agostino Liuni e da Luigi Corbani – attraverso le immagini e per diretto intervento dei protagonisti. Le immagini dicono tanto del travaglio del cantiere, impiantato in condizioni “normalmente” impossibili, quanto dello splendore del risultato; mostrano il particolare e la visione di insieme. I diversi contributi testimoniano la “complessità” dell’impresa progettuale, condizionata dall’impossibilità di un piano di lavoro a priori. Il progetto è invece stato pensato, modificato, interpretato lungo il cammino, in divenire, come gioco d’intesa fra i diversi attori. L’impresa che qui si presenta è allora, implicitamente, l’esposizione di una metodologia progettuale corale, una metodologia difficile perché direttamente “dedicata” all’opera specifica e unica, e che richiede al progettista competenze nuove. Ma lo sforzo inventivo e di regia in questi casi risulta doppiamente produttivo: oltre a realizzare l’opera che era stata richiesta e desiderata, si contribuisce al recupero culturale degli spazi urbani esistenti, rinunciando finalmente alla logica della speculazione a breve termine.