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L’artista, scriveva Merleau-Ponty, non inventa ma traduce; cerca di corrispondere alla muta eccedenza di senso che va oltre le parole. È un inoltrarsi nel silenzioso grembo delle cose e far ritorno traducendo, trasportando in parole quelle cose dal “silenzio del mondo”.
Qual è il detto, allora, del viaggio di andata e ritorno che in queste pagine di Flavio Ermini lascia scie, come a volte accade in certi voli, in cui si formano e si decompongono, si coniugano e si separano narratore e personaggi, soggetti e tempi verbali, fabula e intreccio? È come leggere frasi dette o ascoltate in sogno, ricordate e appuntate al risveglio da un sogno, o forse da sogni in un sogno, di cui non si ricorda la storia…
Frasi lineari che sono linee di labirinti in cui di continuo si smarriscono e si ritrovano faccia a faccia i personaggi e il narratore, diventando nell’occasione anch’esso personaggio. Giochi di specchi tra sguardi, voci e tempi verbali. Un tempo che non scorre, frantumi di realtà, dialoghi frammentati, continui attraversamenti di finte realtà, sogni veri e falsi ricordi.
(dal saggio introduttivo di Lucio Saviani)