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L’ambiguità, in quasi tutte le sue manifestazioni, è collegata al significato, quindi al pari di questo è difficile da racchiudere in una definizione. Tuttavia nella prassi comunicativa si osserva una convergenza verso un significato comune ai parlanti, per cui l’oggetto del discorso diviene progressivamente abbastanza condiviso e consente un’intesa comunicativa (e anche pragmatica). Talora invece, per diversi ordini di motivi, questa convergenza non ha luogo e in questi casi si può dire che la situazione è ambigua.
L’ambiguità ha spesso a che fare con l’interpretazione (semantica) di una situazione o messaggio da parte di un osservatore o destinatario. Dunque l’ambiguità non è intrinseca alla situazione o al messaggio, ma è relativa all’osservatore. Riguarda il rapporto tra situazione e osservatore o tra messaggio e destinatario. […]
Nel linguaggio scientifico si cerca di rimuovere al massimo l’ambiguità. Poiché si privilegia la comunicazione rispetto all’espressione, si vuole trasmettere in modo univoco il contenuto. Ci si adegua insomma ai criteri di intercomunicabilità, ripetibilità eccetera dell’esperienza scientifica. A questo fine si costruiscono addirittura linguaggi formalizzati più o meno artificiali. In particolare il linguaggio logico-matematico mira a una rimozione totale di ambiguità, anche se quest’aspirazione può essere attuata solo in parte, dato che non è possibile recidere del tutto il legame tra il linguaggio specializzato e il linguaggio ordinario, che funge da metalinguaggio. All’opposto, nel linguaggio narrativo, e ancora più nel linguaggio della poesia, l’ambiguità ha una funzione importante, poiché serve a moltiplicare i significati, le metafore, le allusioni implicite ed esplicite. Qui l’ambiguità contribuisce al valore estetico dell’opera consentendone una pluralità di interpretazioni, nessuna delle quali a priori può arrogarsi il titolo di unica corretta. Naturalmente l’introduzione di ambiguità in un’opera letteraria (o la sua non rimozione) può essere effetto di una volontà e di un piano precisi oppure di un’operazione più o meno inconsapevole: i risultati possono avere valore estetico-artistico diverso nei due casi. A questo proposito si osservi che essendo l’opera letteraria (o figurativa) in sé conclusa, non esiste la possibilità di scartare certe interpretazioni a favore di altre grazie a un “prolungamento” come invece avviene nel caso della successione numerica infinita sopra accennata. Da ciò una sorta di “impossibilità di principio” di un’interpretazione critica unica, corretta e definitiva di un’opera artistica o letteraria.
Un elemento che sembra contraddistinguere in generale la maggior parte degli interventi è costituito dalla tendenza a connotare positivamente l’ambiguità, a considerarla — e non solo nell’ambito letterario ed artistico, ma in tutti i settori, anche in quelli delle scienze esatte — un valore, un arricchimento. Ciò indica fra l’altro che in genere gli interventi non si sono limitati ad una descrizione neutra e avalutativa dell’ambiguità stessa, bensì ne hanno dato, nelle forme e secondo le competenze specifiche, pure un giudizio di valore.
La valutazione positiva dell’ambiguità rientra forse nella propensione, radicata nella cultura occidentale contemporanea — sì da costituirne un aspetto essenziale — a scoprire in genere la funzione vitale e necessaria della negazione, dell’assenza, a contestare e a rifiutare ogni ideale troppo preciso di ordine e di compattezza monolitica, ogni positività. In numerose relazioni l’ambiguità appare infatti una caratteristica fondamentale della vita e dell’esperienza, non già da rifiutare o da correggere, bensì piuttosto da difendere da ogni livellamento e da ogni omogeneizzazione, da ogni imperioso ideale “forte” e da ogni immagine univocamente positiva dell’uomo.
Essenziale, per l’ambiguità, è risultata, nella maggior parte delle relazioni, l’intersezione di piani diversi. Essa è apparsa talvolta quale compresenza di elementi semplicemente eterogenei, talvolta — anzi più spesso o più significativamente — quale compresenza di elementi contraddittori, che instaurano un autodiscordia (p.es. la coesistenza, nello stesso individuo, di bontà o cattiveria, o di amore e odio per la stessa persona). Un altro accento è stato posto sulla polisemia, sull’alone di significati, secondo una prospettiva avversa sì ad ogni trionfalismo della comunicazione e rivolta ad accentuare la raggerà estremamente vasta dell’interpretazione, ma sempre circoscrivendola rigorosamente entro i suoi limiti, ampi ma definiti, nel rifiuto di ogni vaghezza indeterminata e di ogni ambiguità ermeneutica.
Altro elemento ricorrente in queste giornate è stata la domanda se l’ambiguità sussista nella teoria oppure si trovi in natura oppure, ancora, se esista e possa esistere soltanto nella persona, nella contraddittoria complessità dell’esistenza individuale; è specialmente a questo interrogativo che mi sembra sia legata la rivalutazione dell’ambiguità quale vitale e creativa non-identità dell’individuo con se stesso e quale allentamento, anch’esso creativo e liberatorio, di ogni struttura troppo rigida della personalità. Tendenza e valutazione che implicano l’idea secondo la quale il contrasto e le contraddizioni della vita andrebbero non già superati, ossia tolti ed eliminati, bensì composti in una coesistenza armoniosa.