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pagine : 647
dimensioni : 17x24
prezzo : € 46,48
ISBN : 9788871860886
Anno di pubblicazione : 2000



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Aa. Vv.
Ambiguità
a cura di Giuseppe O. Longo, Claudio Magris  
2 volumi. 



L’ambiguità, in quasi tutte le sue manifestazioni, è colle­gata al significato, quindi al pari di questo è difficile da racchiudere in una definizione. Tuttavia nella prassi comunicativa si osserva una convergenza verso un significato comune ai parlanti, per cui l’oggetto del discorso diviene progressivamente abbastanza condiviso e consen­te un’intesa comunicativa (e anche pragmatica). Talora invece, per diversi ordini di motivi, questa convergenza non ha luogo e in questi casi si può dire che la situazio­ne è ambigua.

L’ambiguità ha spesso a che fare con l’interpretazione (semantica) di una situazione o messaggio da parte di un osservatore o destinatario. Dunque l’ambiguità non è intrinseca alla situazione o al messaggio, ma è relativa all’osservatore. Riguarda il rapporto tra situazione e osservatore o tra messaggio e destinatario. […]

Nel linguaggio scientifico si cerca di rimuovere al massi­mo l’ambiguità. Poiché si privilegia la comunicazione rispetto all’espressione, si vuole trasmettere in modo uni­voco il contenuto. Ci si adegua insomma ai criteri di intercomunicabilità, ripetibilità eccetera dell’esperienza scientifica. A questo fine si costruiscono addirittura linguaggi formalizzati più o meno artificiali. In particola­re il linguaggio logico-matematico mira a una rimozio­ne totale di ambiguità, anche se quest’aspirazione può essere attuata solo in parte, dato che non è possibile reci­dere del tutto il legame tra il linguaggio specializzato e il linguaggio ordinario, che funge da metalinguaggio. All’opposto, nel linguaggio narrativo, e ancora più nel linguaggio della poesia, l’ambiguità ha una funzione importante, poiché serve a moltiplicare i significati, le metafore, le allusioni implicite ed esplicite. Qui l’ambiguità contribuisce al valore estetico dell’opera consenten­done una pluralità di interpretazioni, nessuna delle quali a priori può arrogarsi il titolo di unica corretta. Naturalmente l’introduzione di ambiguità in un’opera letteraria (o la sua non rimozione) può essere effetto di una volontà e di un piano precisi oppure di un’operazio­ne più o meno inconsapevole: i risultati possono avere valore estetico-artistico diverso nei due casi. A questo proposito si osservi che essendo l’opera lettera­ria (o figurativa) in sé conclusa, non esiste la possibilità di scartare certe interpretazioni a favore di altre grazie a un “prolungamento” come invece avviene nel caso della successione numerica infinita sopra accennata. Da ciò una sorta di “impossibilità di principio” di un’interpretazione critica unica, corretta e definitiva di un’ope­ra artistica o letteraria.

Un elemento che sembra contraddistinguere in generale la maggior parte degli interventi è costituito dalla tendenza a connotare positivamente l’ambiguità, a conside­rarla e non solo nell’ambito letterario ed artistico, ma in tutti i settori, anche in quelli delle scienze esatte —  un valore, un arricchimento. Ciò indica fra l’altro che in genere gli interventi non si sono limitati ad una descrizione neutra e avalutativa dell’ambiguità stessa, bensì ne hanno dato, nelle forme e secondo le competen­ze specifiche, pure un giudizio di valore.

La valutazione positiva dell’ambiguità rientra forse nella propensione, radicata nella cultura occidentale contemporanea sì da costituirne un aspetto essenziale —  a scoprire in genere la funzione vitale e necessaria della negazione, dell’assenza, a contestare e a rifiutare ogni ideale troppo preciso di ordine e di compattezza monolitica, ogni positività. In numerose relazioni l’am­biguità appare infatti una caratteristica fondamentale della vita e dell’esperienza, non già da rifiutare o da correggere, bensì piuttosto da difendere da ogni livella­mento e da ogni omogeneizzazione, da ogni imperioso ideale “forte” e da ogni immagine univocamente positiva dell’uomo.

Essenziale, per l’ambiguità, è risultata, nella maggior parte delle relazioni, l’intersezione di piani diversi. Essa è apparsa talvolta quale compresenza di elementi sem­plicemente eterogenei, talvolta anzi più spesso o più significativamente quale compresenza di elementi contraddittori, che instaurano un autodiscordia (p.es. la coesistenza, nello stesso individuo, di bontà o cattiveria, o di amore e odio per la stessa persona). Un altro accento è stato posto sulla polisemia, sull’alone di significati, secondo una prospettiva avversa sì ad ogni trionfalismo della comunicazione e rivolta ad accentuare la raggerà estremamente vasta dell’interpretazione, ma sempre cir­coscrivendola rigorosamente entro i suoi limiti, ampi ma definiti, nel rifiuto di ogni vaghezza indeterminata e di ogni ambiguità ermeneutica.

Altro elemento ricorrente in queste giornate è stata la domanda se l’ambiguità sussista nella teoria oppure si trovi in natura oppure, ancora, se esista e possa esistere soltanto nella persona, nella contraddittoria complessità dell’esistenza individuale; è specialmente a questo inter­rogativo che mi sembra sia legata la rivalutazione del­l’ambiguità quale vitale e creativa non-identità dell’in­dividuo con se stesso e quale allentamento, anch’esso creativo e liberatorio, di ogni struttura troppo rigida della personalità. Tendenza e valutazione che implicano l’idea secondo la quale il contrasto e le contraddizioni della vita andrebbero non già superati, ossia tolti ed eli­minati, bensì composti in una coesistenza armoniosa.