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I tentativi dell’uomo moderno di appropriarsi dell’ambiente che lo ospita, attraverso il pensiero (la scienza) e l’azione (la tecnologia), sono molteplici. Eppure, in nessun modo la natura è avvertita come dinamismo, evoluzione, proiezione generatrice di forme. Anzi, da parte delle forze produttive, la natura ha finito per essere considerata come una semplice massa alla mercé di scienza, tecnica, industria ed economia. «L’ordine sociale» è la lapidaria osservazione di Félix Duque «espelle la natura in cui esso stesso originariamente si è costituito». Questo sì che è il vero trionfo dell’artificio, sottolinea l’autore. Trionfo che coincide ormai con il dominio quasi assoluto dell’intelligenza meccanizzata sugli enti intramondani…
L’alternativa non è la nostalgia di epoche felici, di paradisi lontani che sono tali solo in quanto perduti. Al contrario, Duque ci indica che molto è nelle mani della riflessione filosofica, dell’arte, dell’architettura contemporanea. E ci suggerisce di riprendere il cammino dal pensiero di Heidegger, misurandolo scalarmente con la nostra esperienza sull’abitare e arricchendolo di nuove considerazioni – quelle dell’architetto Mies van der Robe, in particolare – sui tratti del costruire. Questa opera si presenta come una critica severa della condizione in cui trova svolgimento la nostra esistenza. Ed evidenzia che non si tratta di tornare al passato, ma di giungere a concepire l’industria della costruzione come un preludio per un’altra storia dell’essere.
È vero, come canta Hölderlin, che arriviamo troppo tardi per gli dei, ma forse non è così tardi per la terra. Per renderla di nuovo abitabile.