pagine 352 | prezzo 22,00€ | cm 14,5x21

Credere, terzo volume della trilogia Percorsi di umanizzazione, è costruito attorno ad una tesi semplice: non c’è umanizzazione e maturazione possibile senza la disponibilità ad accogliere le due sfide che la vita pone a tutti e a ciascuno: imparare ad amare e prepararsi a morire. Ma per rispondere positivamente a queste pro-vocazioni che la vita pone, costituisce una grande risorsa guadagnare una prospettiva in senso lato religiosa della vita: essa aiuta infatti “l’accettazione dell’inaccettabile” – come scriveva Tillich, cioè aiuta ad accettarci per quello che siamo, a vincere l’angoscia per riposare nella fiducia. Questo terzo volume tratta dunque del credere e dell’esperienza religiosa in senso lato, come dimensioni umane tanto universali quanto costitutive e risorse preziose nel compito di divenire uomini e donne adulti. Una esperienza, quella religiosa qui descritta, che non è monopolio delle religioni tradizionali, in quanto parte costitutiva dell’umano.

Le religioni, da sempre, rivestono numerose funzioni psico-sociali: nella prima metà della vita e nella giovinezza della società contribuiscono alla strutturazione e stabilizzazione dell’Io e danno un fondamento alla socialità. Ma tale religiosità può degenerare, e questo succede quando la dottrina, il dogma, il principio etico, l’istituzione, divengono più importanti delle persone concrete e della loro sofferenza, e la ‘lettera’ diviene più importante dello ‘spirito’. Da qui la necessità di una religiosità per la seconda metà della vita e per la maturità della società,  che consiste nella capacità di cogliere e vivere la dimensione mitica e simbolica che è intrinseca ad ogni tradizione religiosa. Una religiosità incentrata sull’esperienza (di Dio o della Vita nella sua integralità) e contrassegnata dalla disponibilità al dialogo e dal servizio alla Vita, a trecentosessanta gradi.


Di fronte alla scelta, si deve dire un “sì” o un “no”, che diventano irrevocabili; ma le donne sanno che non si tratta mai di una decisione “giusta” in assoluto. Passano attraverso i pro e i contro, individuali e sociali, la valutazione delle responsabilità verso sé stesse e gli altri, l’estensione dei loro desideri, femminili e personali, spesso in contrasto fra di loro.

C’è un desiderio di procreare, per esempio, che nasce dal profondo bisogno biologico di continuare la specie. Ma quando questo desiderio, che ha indotto alla gravidanza, è anche desiderio di maternità?

Secondo Eva Pattis l’aborto, oggi e in questo nostro contesto culturale, può assumere il valore simbolico di un sacrificio d’iniziazione: oltre il quale si acquisisce la consapevolezza della vita e della morte, si accede all’età adulta, ci si incammina definitivamente nel percorso di individuazione di sé. E’ il momento iniziatico che costringe a farsi coraggio, ma anche a valutare realisticamente quale sia la carica delle risorse disponibili: quelle che attendono di essere mobilitate, e quelle che sono state utilizzate per garantire sicuri margini di indipendenza, di autonomia. In questo senso l’aborto non è un dramma, un gesto disperato, una colpa inespiabile o una sfida alla schiavitù biologica e sociale.

Un percorso che le donne continueranno a fare da sole? Finché si negherà loro il diritto di abortire in nome della “vita”, da un lato, e si riverserà su di loro “l’ultima parola” dall’altro, l’aborto rimarrà un nodo oscuro, dove riversare umori integralisti o dal quale prendere razionali distanze. Si continui a discuterne dando spazio a chi l’aborto lo vive sulla propria pelle.