Prefazione di Claudio Magris

 

La spiaggia è un paesaggio particolarissimo: per lunghi secoli è stata considerata luogo insalubre, su cui il mare gettava i suoi rifiuti, e pericoloso, perché dal mare venivano le invasioni e i saccheggi. Solo col Settecento essa diventa uno spazio destinato a un progressivo processo di colonizzazione, tornando lentamente ai fasti di cui aveva già goduto in epoca romana. Una volta riaffermato il valore balsamico dell’aria salmastra e quello terapeutico dei bagni di mare, l’aristocrazia prima e la borghesia poi ripopolarono porzioni sempre più ampie di litorale. La riconquista della spiaggia non ha però solo un valore sociale, perché dal momento in cui se ne impossessa la letteratura acquista anche un profondo valore simbolico. Nella narrativa di alcuni scrittori borghesi, da Thomas Mann a Moravia, la spiaggia diventa allora uno spazio di confine tra due mondi tipologicamente diversi e metaforicamente impegnati in una lotta durissima per la conquista dell’animo umano. Se la realtà urbana è sinonimo di un ordine gerarchizzato garantito da rigide norme morali, quella del mare è immagine dell’anarchia, è il luogo nel quale l’individuo ‘civilizzato’ può spogliarsi di tutti gli obblighi verso la società per perdersi nel flusso indistinto ma potente della vita e abbandonarsi a una dimensione di assoluta libertà che, tuttavia, qualche volta ha come contropartita l’oblio e la morte. È allora sulla sottile linea che divide la terra dal mare che si svolgono i drammi dei protagonisti dei romanzi presi in esame in questo volume. Le loro vicende possono avere esiti diversissimi, portandoli a una reale maturazione interiore, oppure costringendoli a rinunciare a una parte importante di se stessi, o ancora, ed è il caso di Gustav von Aschenbach e di Giorgio Aurispa, trascinandoli nella tragedia.


 
pagine 112 | prezzo 12,00€ | cm 14,5x21

Poetessa che ama le sfide e i grandi progetti, Sabrina Foschini lavora su un’idea come un artista sulle pareti di un vasto edificio, tracciando campiture, riquadri, prospettive, lavorando sui dettagli, sui colori, sulla luce. Voce del verbo risulta infatti divisa in due parti (Gli antichi; La novella), come fossero i due specchi di un’antica navata: da una parte venti figure dell’Antico Testamento (Gli antichi), dall’altra venti figure del Nuovo Testamento (La novella). Figure tradizionali, che vanno dall’Arcangelo Michele, da Adamo, da Caino (cioè dai protagonisti del libro della Genesi) fino a San Paolo, l’edificatore della Chiesa cristiana. La narrazione è affidata a ciascuna di queste figure, voci del verbo, appunto, che di pagina in pagina vanno tracciando, in una lingua ricca di terre e di luci profondamente umane, una sorta di vasto atlante di storia sacra, ma riletto con la sensibilità di un nostro contemporaneo. Ne risulta un affresco in cui risplende l’intera storia del mondo nella sua ansia di verità, ma anche nella sua stupefatta innocenza. Un affresco, e non può sorprendere se si considera l’attività artistica della Foschini, ricco di suggestioni pittoriche, che rimandano alle pale d’altare e all’iconografia tradizionale dei santi cristiani. Ma entro questa dimensione visiva, sono i sentimenti e i drammi più celati, le ferite, le promesse, i rancori, le speranze e le ossessioni umane che si materializzano nelle voci monologanti: lo sgomento di Lucifero, soverchiato dal pensiero dell’eternità; l’orrore primitivo di Caino, nello scoprire «una cosa chiamata morte»; l’orgoglio ingenuo di Noè, che obbedisce al Signore costruendo, come un maestro d’ascia, «quest’arca grande di legno resinoso / alta tre piani»; fino alla luce folgorante, caravaggesca che disarciona Paolo, consegnandolo per sempre a un’altra Legge.

 

Giancarlo Pontiggia