pagine 264 | prezzo 20,00€ | cm 14,5x21

L’altra notte abbiamo fatto il più sorprendente dei sogni. Le immagini del sogno hanno parlato alla nostra parte più intima, ai nostri desideri più nascosti, indicandoci una direzione corretta per la nostra vita o mostrandoci una parte di noi in cerca di qualcosa di più. A distanza di qualche ora, però, alla luce del giorno, il sogno che ci ha così ispirato se ne è andato per sempre… Continue reading


 
pagine 224 | prezzo 16,00€ | cm 14,5x21

ATQUE

materiali tra filosofia e psicoterapia

 

Rivista semestrale

Nuova serie n. 13 – anno 2013

 

 

 

Contributi di:

Giampiero Arciero,  Arnaldo Ballerini, Fabrizio Desideri, Michele Di Francesco,

Rossella Fabbrichesi, Carlo Gabbani, Roberta Lanfredini, Mauro Mandrioli,

Patrizia Pedrini, Pietro Perconti, Mariagrazia Portera, Alfredo Tomasetta

 

Con un saggio di Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe

 

«Danilo Cargnello, in un saggio dedicato alla “Ambiguità della Psichiatria”, riproponeva a tutti gli psichiatri che tentassero di essere consapevoli del fondamento epistemico del loro pensare e del loro fare, la realtà della posizione dilemmatica della psichiatria, che, come scriveva, “costringe chi la esercita a oscillare tra un aver-qualcosa-di-fronte e un essere-con-qualcuno”. Confrontati con l’apparente aporia di queste due posizioni, verrebbe voglia di rispondere: né l’una, né l’altra, bensì tutte e due – anche se occorre ribadire, con Cargnello, di mai “sorpassare il limite di quella distanza critica per cui un uomo non risulta più tale, ma solo qualcosa”. L’esercizio della psicopatologia si fonda anche su questo: su una fluida modulazione della distanza intersoggettiva, di continuo oscillando fra l’immedesimazione nei vissuti dell’altro e la distaccata riflessione sulla densità dei significati che essi veicolano. E soltanto posizioni di un estremismo radicale – o costante immedesimazione o costante oggettivazione – conducono a psichiatrie opposte e forse impossibili. Del resto Jaspers sottolineava la inadeguatezza di una osservazione senza partecipazione, in un ambito, come appunto quello psicopatologico, nel quale l’unico strumento che il ricercatore ha è se stesso (…). Ma se “per stare ai fatti stessi” (che è il precetto husserliano), la fenomenologia in psichiatria si sforza di illuminare i fenomeni in quanto fenomeni e non in quanto teorizzati o reificati, ciò significa di per sé l’aver realizzato una psicopatologia “della prima persona”? Mi sembra che il problema sia meglio posto in termini di percorso e di tendenza che non definitivamente risolto. Quando Jaspers scrive: “L’oggetto della psicopatologia è l’accadere psichico reale e cosciente. Noi vogliamo sapere che cosa provano gli esseri umani nelle loro esperienze e come le vivono”; in questo modo egli definisce il manifesto di qualsivoglia psicopatologia. Ma di una psicopatologia che tenderà a cogliere e incontrare radicalmente la soggettività dell’altro alla “prima persona”. Mi sembra che questo progetto sia ineludibile in ogni indagine psicopatologica e in ogni progetto psicoterapico, anche se resta una meta ideale – visto che ogni vissuto altrui è modificato anche per il solo fatto di essere mediatizzato dal linguaggio. Se, con Wittgenstein, “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, come potremo afferrare nella comunicazione una modificazione di essenza che si ponga verosimilmente prima del linguaggio? È, direi, come voler appendere un quadro a un chiodo – dipinto nel quadro stesso» (Arnaldo Ballerini).