pagine 148 | prezzo 15,00€ | cm 14,5x21

In una specie di casa-deposito, Katrin, Usov, Suri e Van si trovano a vivere la loro condizione di parlanti. Sono esseri comuni qui chiamati Tolki.  Chi sono i Tolki? Penso a un Tolki come a un parlêtre, un essere marchiato dal linguaggio. Parlêtre è un neologismo di Lacan che fonde indissolubilmente l’essere al linguaggio, nell’atto della pronuncia. Vedo i Tolki come esseri che nello scontro con la poesia assumono su se stessi il peso d’una lingua povera, dura come una colpa, leggera come una liberazione. (Ida Travi)

 Ida Travi introduce un ulteriore scorcio della sua poesia per personaggi e traccia al presente un luogo tanto immaginifico quanto materiale dell’esistente. Le sue creature stabiliscono un’occasione unica nel panorama poetico contemporaneo; diventano esse stesse il passaggio verso la profondità di una storia che è anzitutto la loro. (Dalla postfazione di Alessandra Pigliaru)

 A partire da Tà, Poesia dello spiraglio e della neve, procedendo attraverso Il mio nome è Inna e Katrin. Saluti dalla casa di nessuno, Ida Travi ha fondato ciò che ho avuto modo di definire “nuova mitologia contemporanea”, inaugurando così  il ciclo di un’epopea postmoderna che narra non le lunghe gesta di grandi eroi, ma i gesti brevi di chi semplicemente è sopravvissuto. (Luigi Bosco, www.poesia2.0.com)


Quale aria si respira oggi negli studi di psicoterapia? E’ l’aria dei problemi di sempre, oppure un’aria viziata da nuove forme di inquinamento? Le storie di vita degli uomini e delle donne che bussano alla porta delle stanze d’analisi e di psicoterapia non raccontano solo di un disagio individuale, cresciuto nelle mura di casa. Esse raccontano anche di un nuovo disagio della civiltà, dove la speranza nel futuro ha perso cittadinanza, la cultura ha delegittimato la natura e la perdita di senso non si accompagna all’aspettativa di un tempo migliore. Il libro analizza i modi della sofferenza oggi più eloquenti, in quei pazienti che scelgono di ricavarsi un tempo e uno spazio nei luoghi della cura psicologica, osando chiedere un ascolto che i farmaci non possono e non sanno dare. Pazienti che soffrono lo smarrimento del panico, l’inimicizia anoressica con il proprio corpo, la noia che opacizza il quotidiano, la rabbia che non tollera il limite, la colpa che rende pesante ogni separazione. Forme di sofferenza individuale, ma che svelano anche nuovi stili collettivi di vivere il tempo, lo spazio, le relazioni. Dentro questo scenario la richiesta di aiuto si fa socialmente più pressante e non si accontenta di anestetizzare il dolore: l’inconscia domanda di un senso, resa manifesta soprattutto dai sogni, vuole ancora rimanere aperta. Per questo le psicologie, come quella di ispirazione fenomenologica e psicoanalitica, che si interessano all’interiorità del paziente e a ciò che si cela oltre la loro coscienza, hanno ancora un irrinunciabile ruolo terapeutico e sociale.