pagine 192 | prezzo 20,00€ | cm 14,5x21

Oggi è tutto live: in diretta televisiva, in streaming, in chat… Ma è veramente live? In realtà memoria, vissuto, ripetizione sono sempre presenti, dunque anche la diretta è soggetta a variazioni di intensità, intermittenze di ogni genere, effetti di registrazione. Eppure, da un lato, è proprio questo che rende viva la restituzione dell’evento; dall’altro, siamo di fronte a un trauma dell’innamoramento della vita, una vita che non brucia più le immagini nelle proprie metafore, ma legge le metafore vedendo le immagini che in loro ancora bruciano.

Allora dobbiamo ripensare il live riconsiderando temi classici e celeberrimi quali: la memoria proustiana, ma vista attraverso le sue persistenze e ri-trovamenti; l’auto-osservazione di Henri Michaux, testimone della parte di sé nascosta e misteriosa; l’opera ultima di artisti in punto di morte come de Kooning, Hartung, Mapplethorpe, Kippenberger; la performance, cardine della concezione dell’evento artistico che si esaurisce nel suo svolgersi, ora rivisitata e rifatta; la cinepresa in veste di robot post-umano come paradigma di un cambio di registro visivo; le diverse forme di remake e re-enactment degli ultimi decenni e i recenti dibattiti sulla liveness e sui social network.


Gli scritti raccolti nel libro propongono tre spunti interpretativi per la comprensione e l’impiego clinico, nella psicoterapia contemporanea, del concetto di Sé proposto da C.G. Jung. I primi due testi attingono da tradizioni religiose distanti – la concezione cristiana del Dio trinitario e il Non-Sé del Buddismo – per offrire immagini suggestive e attuali della totalità psichica. Il terzo rimanda alla fenomenologia e all’immaginario onirico per sondare l’ipotesi del come dimora interiore.

L’intento comune è indagare lo scenario ormai molto frequente delle esperienze di dissociazione e frammentazione psichica, prodotto di appartenenze e identificazioni insieme coinvolgenti e complesse, che segnalano una costituzione progressivamente meno coesa e sempre più plurale del Sé. In vista peraltro della tensione a rintracciare nuovamente, attraverso percorsi e modi di conoscenza individuale, il senso di originalità e la dimensione unitaria che connotano l’esperienza soggettiva umana. Un ruolo chiave, sotto questo profilo, assumono la dimensione temporale – intreccio fra memorie e progettualità tesa al futuro – e quella spaziale, intesa come rispecchiarsi e simbolizzarsi del Sè nel luogo delle origini e nell’habitat quotidianamente vissuto.

La cifra “plurale” del discorso sul Sé, infine, assume più apertamente rilievo nella relazione analitica, dove è in gioco non solo la soggettività “plurale” del paziente ma anche quella del terapeuta.

Alla luce delle molteplici metafore che gli autori rintracciano, è poi inevitabile porsi la domanda: a quale tipo di “oggettività” può tendere l’interpretazione analitica?