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Romanzo in versi declinato in quattro parti, scritto e riscritto in un lungo arco di tempo, opera di una tessitura lunga e paziente, labirintica e amorosa, L’osservatorio di Francesco Dalessandro attraversa l’ultimo mezzo secolo della nostra poesia lasciandosene imbevere nei suoi dettagli più minuti (un tratto stilistico, un richiamo immaginoso, una vertigine di pensiero) ma restando sempre fedele all’idea originaria.
Più che narrare una storia, raccontare «fili/ di storie», e con esse lo scorrere del tempo. La vita fluisce come il sangue, come il traffico – con i suoi intoppi ingorghi accidenti – inquieta e inafferrabile, privilegiando ricorrenze e accadimenti feriali, notazioni paesistiche e stagionali. La visione nasce proprio dalla modulazione del tempo – nelle sue vene più sotterranee, stratificate –, dall’accumulo dei dettagli che, dilatati per virtù di pause e soste, rinvii e folgoranti accensioni dell’occhio, vanno a disegnare a poco a poco una vicenda complessiva. Questo è il compito che il poeta si è dato: raccontare la vita per immagini, passandola e ripassandola, come egli stesso ci avverte, nel “proiettore” dell’anima. Per il poeta-viandante, il sublime vedutista di una Roma divisa fra luci e ombre, «fraterne/ o avverse anime», ora luogo di cari nomi, ora sponda acherontea di un mondo non più condivisibile, la città guardata dall’Osservatorio – simbolico e reale insieme – di Monte Mario, diviene il punto privilegiato da dove contemplare la vita nelle sue pieghe più dolci e laceranti, fatte di lunghe attese, di attraversamenti, di ritorni, di irragionevoli felicità, di affetti concreti, di ozi rigeneranti, di acute fitte, di dolorose brume della mente. Eppure, come il fiume divino che attraversa Roma, con le sue anse assolute e indugianti, le sue pigre correntìe che parlano agli occhi come al cuore, questi versi scorrono con pazienza ostinata verso la loro foce, risolvendosi infine in «pura luce» – come leggiamo nel congedo del libro – per gli «occhi stupefatti» che si dispongono, com’è giusto che sia, ad accogliere il nuovo giorno.
Giancarlo Pontiggia