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La poesia ili Alessandro Moscè si mitre di folgorazioni casalinghe, di osservazioni di luoghi e ambienti che sembrano appartenergli come una seconda pelle. Il suo ubi consistam è alimentato in continuazione da varie campiture diurne e notturne. Tra il mare e la collina, Moscè fissa alcuni momenti nel flusso dell’accadere quotidiano. Nelle vicende si genera un’autentica evidenza di alletti: il ciclo delle stagioni segna il passaggio da un’età all’altra, da una circolarità all’altra. Questa poesia è lontana da ogni dimensione ideologica e si immerge pienamente nel vissuto, nell’immaginazione e rigenerazione della terra, della natura, spesso delle riflessione personale tra le pareti domestiche. La storia marginale e privata diventa quella di chi affronta temi universali, tra i quali il tempo, il ricordo, la nascita e la morte. Sullo sfondo l’ignoto e la sicurezza delle proprie stanze, in cui l’amore è soprattutto scoperta, indagine, a partire dalla fisicità della figura femminile. Alessandro Moscè scrive una poesia che entra di petto nella realtà, che racconta seguendo una percezione lirica, assoluta, legata alla tradizione italiana del secondo Novecento. I frammenti evocati rappresentano un viaggio di conoscenza tra stupore e dolore nel senso della perdita, con le figure familiari che accentuano la loro presenza-assenza proprio nel tempo che passa e che non restituisce nulla al diario dei versi.