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Winckelmann e il suo secolo: è questo il titolo originario di un volume affidato nel 1805 dalla duchessa Anna Amalia di Sachsen-Weimar a Goethe, il quale vi comprese, oltre ad un suo profilo biografico del celebre archeologo, uno studio di J.H. Meyer e di Fr. A. Wolf, intellettuali che appartenevano entrambi al circolo weimariano degli «amici dell’arte». L’opera può essere considerata il primo ed anche il più noto omaggio alla figura del grande studioso dell’antichità, che con i suoi Pensieri sull’imitazione delle opere greche in pittura e scultura e con la Storia dell’arte nell’antichità, riformò completamente la prospettiva imperante negli studi sull’arte classica antica, conferendo al metodo dell’indagine antiquaria la veridicità che nasce dal confronto diretto con l’oggetto in esame. Con Winckelmann cadono i pregiudizi di tutti questi archeologi «fantasiosi», che avendo fino ad allora rinunciato alla «descrizione» dei reperti, preferivano muoversi per ipotesi, accumulare dati, eludere gli spostamenti, riducendosi cosi alle modeste coordinate delle biblioteche e dei musei più vicini.
Winckelmann scopre a Roma la possibilità di esprimere appieno il suo spirito osservativo e di coniugare felicemente l’obiettivo pedagogico con quello didattico, inaugurando quel gusto per la classicità che coinvolgerà in modo irresistibile scrittori come Lessing, Heinse, Seume, Wieland, Moritz, Herder, Schiller e Goethe. Viaggiare e osservare diventa l’imperativo per ogni amante dell’arte che voglia trasformare l’esperienza del contingente nell’universale poetico, esigendo riferimenti storico-artistici il più possibile vicini al vero. Liberata dalle maglie dell’insopportabile gravita filologica degli elenchi e dei cataloghi, l’arte antiquaria rinasce nello sguardo accorato della Niobe o nel volto doloroso del Laocoonte cui Winckelmann, modello principe di un rinnovato umanesimo, versa il tributo dell’uomo che «sente» l’arte e che moralmente si impegna a «comprendere».