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La vita di Nino Bixio (1905) di Giuseppe cesare Abba: un agile ritratto in piedi dell’iracondo “secondo dei Mille”, scritto da uno che l’ha visto, che ha sentito il fascino e la primitiva imponenza della sua indole fiera e quasi selvaggia. L’autore delle Noterelle di uno dei Mille, di un vero best-seller fra Otto e Novecento, toglie dall’affresco corale del suo piccolo esercito antico un fotogramma d’eccezione – quello del comandante Lombardo dal “profilo che taglia come una sciabolata” – lo ingrandisce, lo isola, e gli regala il suo affettuoso ma disincantato panegirico.
E’ la storia, senza vera retorica, di un personaggio da epopea, di una figura mitizzata quanto discussa, che “in sé ha dieci anime”: da marinaio si fa garibaldino, quindi entra nell’esercito regolare per poi sedere in Parlamento, per finire poi col buttare tutto all’ortiche e tornare in mare per un’avventura in estremo Oriente, dove muore di colera. Le vicende di guerra e pace di una personalità camaleontica e pragmatica, di “un pioniere di se stesso” (Guerzoni” paragonato dal Lamarmora al Boiardo: <<E’ un complimento che mi seccherà più di una volta – scrive il Bixio – e di cui mi riconosco indegno perché davvero non mi conosco sans réproche>>. La leggenda si crea da sé, nel rispetto assoluto del fatto storico. Abba sa che scrivere la vita di Bixio nel 1900, puntando tutto sul periodo meno eroico, quello che dal 1861 va al 1865 e lo vede come elemento moderatore fra patrioti e uomini politici (nella consapevolezza che il tempo della rivoluzione pura è finito, coi suoi eserciti irregolari e le sue guerre per bande), significa fare azione politica, cioè dare alle armi la sua letteratura quasi crepuscolare.
Bixio è visto come un discendente dei grandi uomini d’azione italiani del Quattrocento, degli avventurieri militari conquistatori e fondatori di Stati: un Castruccio Castracani dell’Ottocento, a cui egli dà i colori accesi che Stendhal e Taine avevano usato per Napoleone.