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Nel mondo dell’Amministrazione globale il tempo calcolatorio pretende di essere tutto il tempo. Tanto che il suo dono, nell’età del dominio dell’Economico, appare impossibile. C’è invece un resto del tempo. Ed è questo a essere seducente per il pensiero.
Questo resto è ciò per cui si scrive. Si scrive per sfuggire all’astrattezza del tempo che manca se stesso a causa della sua estrema disciplinarizzazione.
È necessario, come fa Agostino, immergere il proprio pennino contemporaneamente nel sangue antico e nel presente. Così s’intravvede un tempo pieno, il miracolo del dono reciproco di tempo e scrittura, di identità e di differenza.
Perciò la filosofia e la letteratura, secondo Derrida, hanno da dire qualcosa: per la forma del loro camminare nelle vie della mancanza, del loro affidarsi all’altro.
Si scrive per resistere, e resistenza è allevare i sentimenti, dare loro il nome e narrarli. Nel coraggio della scrittura si possono scoprire le chiavi per entrare nelle cripte dell’esistenza, nel destino di segni aperto all’ulteriorità e al portento del tempo.