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Quando le luci si spengono – / poco per volta ci si abitua al buio / come quando il vicino, sollevando in alto / il lume sigilla il suo addio. // Dapprima – i passi si muovono incerti / nel buio improvviso – / poi lo sguardo si abitua alla notte…
EMILY DICKINSON
Non me lo ricordo è un racconto sulla notte, su ciò che rappresenta la notte per gli esseri umani, dopo essersi spinti oltre l’ultima luce. E riguarda tutti, nudi e non salvi, colpiti dal caso, dalla natura, dal dolore.
D racconto ci parla di tredici matti in una casa e di una psichiatra che tenta di dare a ognuno di loro finalmente la “propria” voce: un po’ stonata, forse, e un po’ no. Di concertarle, invece, pare proprio che non le importi. Così come di riordinare i frammenti dei loro gesti.
È venuto alla luce qualcosa che è esprimibile con difficoltà: il nostro vero essere, quello che sta all'”altro lato” della coscienza, quello “smarrito”.
Le pagine di Non me lo ricordo sono istantanee che trascendono il tempo, tanto da impedirgli di portarsi via chi – da quel flusso – pare essere avulso. Solo dal tempo? Davvero avulso? Solo loro? Loro chi?
È un universo caotico quello che porta alla luce questo libro, ma non impedisce che una forza oscura e segreta, dotata di complicità indicibili e indivisibili, si venga a creare tra follia e normalità. Fino a imporre un nuovo diritto, l’amore.
Ecco il senso di questo continuo dare e ricevere tra terapeuta e paziente nelle pagine di Non me lo ricordo.
Ecco il vero banco di prova per quel lungo «colloquio che noi siamo».