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I fili dell’anima raccoglie alcuni dei migliori saggi pubblicati in volumi ormai introvabili di Anima, e intende così ricordare i quindici anni della rivista, tenuta a battesimo nell’aprile del 1988 da James Hillman con un memorabile seminario nella Villa Medicea di Artimino.
Un ampio saggio inedito del direttore della rivista introduce il volume, che è stato strutturato come un’opera unitaria in modo da farne un commentario a più voci del “mito dell’analisi”; un racconto di come si possono intendere le sofferenze e gli aneliti di Psiche e di come si può averne cura per liberare l’anima dalla prigione della banalità terapeutica e restituirla alla sua infinità. La riflessione corale lascia emergere il ritratto di una nuova generazione di analisti junghiani, che si radica nel pensiero del maestro ma rinnovandolo in virtù di immaginazione e linguaggio; e senza curarsi di sottolineare gli ambiti di una adesione e quelli di una differenziazione, come invece accade quando ci si fa misura di un pensiero vivente e lo si appiattisce in schemi, poco importa se semplici o complicati.
Nelle tre parti in cui l’opera si articola – II medico dell’anima e la sua arte, Con gli ospiti invisibili e Nei travagli di psiche – si succedono i testi di Hillman, Ziegler, Micklem, Agnel, Concato, Gaillard, Kierksey, Donfrancesco, Giegerich, Sardelle, Dreifuss, Moore, López-Pedraza, Perez, Stroppa, scritti in anni diversi e per diverse circostanze, ma che, raccolti insieme, trovano ciascuno una nuova vita, senza mutare quell’intonazione che si è rivelata fin dall’inizio peculiare di Anima. Come si può leggere nell’introduzione, questi autori “ed altri ancora – e non soltanto psicoanalisti ma anche artisti, poeti e filosofi – sono convenuti in Anima lungo i quindici anni della sua vita a portare l’intelligenza, la sensibilità, il pathos dei loro contributi, a donarle quell’atmosfera comune…”, assecondando il progetto originario di una rivista che ospitasse “scritti capaci di toccare l’anima, di muovere l’immaginazione; non che soltanto parlassero della cura dell’anima, ma che arrivassero a toccare l’anima, le cui parole passassero da anima ad anima, così da essere essi stessi una cura per chi li aveva scritti e per chi li avrebbe letti…”.